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ESMO/1. Per il tumore della mammella si inaugura l’era dell’immunoterapia, arriva Atezolizumab

di Maria Rita Montebelli

Lo studio ImPassion130, un trial clinico che ha confrontato atezolizumab e chemioterapia contro la sola chemioterapia ha dimostrato che l’immunoterapia aumenta la sopravvivenza del 38% (10 mesi) nelle donne con tumore della mammella triplo negativo, PD-L1 positivo. E’ un risultato storico per questa che è la forma di tumore della mammella più aggressiva e che finora non aveva neppure uno standard di terapia.  L’Italia ha rischiato di restare fuori dalla sperimentazione per un cavillo regolatorio. L’appello dei medici al nuovo Direttore dell’Aifa perché questo non accada mai più in futuro.

20 OTT - E’ un risultato definito ‘storico’ dagli esperti: per la prima volta un immunoterapico dimostra un beneficio importante sulla sopravvivenza nelle pazienti con tumore della mammella triplo negativo, localmente avanzato inoperabile o metastatico. Ed è l’atezolizumab, un anti-PD-L1, ad aver cambiato la storia. Quella del trattamento di questa patologia, ma soprattutto quella delle pazienti che ne sono affette. E non solo. I risultati di questo studio dimostrano che il farmaco è in grado di fare la differenza solo nelle donne che esprimono il PD-L1 sulle loro cellule tumorali e questo impronterà il disegno di tutti i futuri studi nel settore. Il farmaco giusto per la paziente giusta, per un risultato a target e senza sprechi di risorse. E’ la medicina di precisione che diventa realtà.
 
Lo studio ImPassion130 è stato presentato nel ‘Presidential Symposium’ del congresso ESMO 2018 che ospita gli studi più importanti dell’anno ed è stato pubblicato in contemporanea sul New England Journal of Medicine.
 
Si tratta di uno studio di fase 3 che ha arruolato 902 pazienti con tumore della mammella triplo negativo, randomizzandole al trattamento con il chemioterapico (nab)paclitaxel + atezolizumab o (nab)paclitaxel + placebo. Il trattamento veniva proseguito fino a progressione di malattia o a comparsa di effetti indesiderati intollerabili. Per tutte le pazienti è stata definita l’espressione di PD-L1 (positiva o negativa) all’inizio dello studio. I due endpoint primari dello studio erano la sopravvivenza libera da progressione di malattia (PFS) e la sopravvivenza globale (OS). La PFS è stata di 7,2 mesi nel gruppo atezolizumab – (nab)paclitaxel contro 5,5 mesi del gruppo di controllo. La sopravvivenza globale  è stata di 21,3 mesi nel gruppo atezolizumab contro 17,6 mesi del gruppo di controllo; ma tra le pazienti PD-L1 il beneficio di sopravvivenza è stato rispettivamente di 25 mesi contro 15,5 mesi, con una differenza assoluta netta di quasi 10 mesi e un aumento di sopravvivenza del 38%.
 
“Questi risultati – commenta il primo autore dello studio, il professor Peter Schmid (nella foto), direttore clinico del Breast Cancer Centre dell’Ospedale St. Bartholomew  di Londra e direttore del Centre for Experimental Cancer Medicine, Barts Cancer Institute, Queen Mary University di Londra – definiscono l’associazione atezolizumab-(nab)paclitaxel come lo standard di cura per le pazienti con tumore della mammella triplo negativo PD-L1 positive. Atezolizumab è il primo immunoterapico ad aver dimostrato un beneficio su questa categoria di pazienti. In una patologia per la quale non eravamo mai riusciti a migliorare la sopravvivenza con nessun farmaco, questo è un risultato enorme. Il problema dei costi va sicuramente considerato; ma bisogna porsi una domanda su tutte: quanto è trasformativo un beneficio? Se lo è, e molto, come in questo caso, allora bisogna garantire ai pazienti l’accesso al farmaco”.
 
“Lo studio IMpassion130  – commenta Giuseppe Curigliano, professore associato di Oncologia medica, Università di Milano e direttore della Divisione Nuovi Farmaci dell’IEO -  ha un disegno prospettico randomizzato a due bracci (NAB-paclitaxel + atezolizumab o NAB-paclitaxel + placebo) sul trattamento in prima linea del tumore della mammella triplo negativo in fase metastatica. Il ‘co-primary’ endpoint dello studio è la sopravvivenza libera da malattia e la sopravvivenza globale. I risultati dimostrano che nella popolazione PD-L1 positiva c’è un netto vantaggio di sopravvivenza. E’ un risultato molto importante perché si tratta del primo studio in assoluto a mostrare un vantaggio di sopravvivenza nel triplo negativo PD-L1 positivo. Il messaggio dello studio è molto diretto: le donne trattate con immunoterapia vivono più a lungo: 25 mesi contro i 15 mesi del braccio chemioterapia, con un aumento della sopravvivenza globale del 38% dunque.
 
Finora per questa categoria di pazienti non  c’erano trattamenti efficaci, se si eccettua l’olaparib o altri PARP-inibitori nelle forme BRCA mutate; per tutti gli altri tumori triplo negativi non esisteva neppure uno standard di terapia; così queste donne sono state finora curate con chemioterapia, senza grandi risultati.
“IMpassion130 ha dimostrato che l’immunoterapia funziona soprattutto nelle forme PD-L1 positive – prosegue Curigliano -  i prossimi passi consisteranno nell’effettuare una stratificazione ancora più accurata delle donne candidate a questo trattamento, magari individuando nuovi biomarcatori.
Tutti noi aspettavamo la presentazione di questo studio e i suoi risultati portano il carcinoma della mammella nell’era dell’immunoterapia. Il vantaggio sulla sopravvivenza conferito dall’immunoterapia è rivoluzionario per questa malattia in fase metastatica. In futuro altri trial cercheranno di rispondere alla domanda se sarà possibile trattare queste pazienti con la sola immunoterapia, senza ricorrere ancora alla chemioterapia. Sarà necessario però individuare nuovi fattori prognostici e predittivi che consentano di sotto stratificare la popolazione responder.
 
L’Italia – spiega Curigliano -  ha rischiato di non prendere parte a questo studio in quanto l’Aifa non riteneva etico il disegno dello studio,  sostenendo che (nab)paclitaxel non fosse lo standard di terapia per le pazienti TNBC. Ma in realtà per queste forme, come visto, non esiste uno standard di terapia. Quando è arrivato l'Ok, lo studio aveva praticamente completato l'arruolamento, per cui l'Italia ha potuto arruolare solo qualche paziente.
L’appello che vorremmo dunque fare al nuovo direttore dell’Aifa che si è appena insediato è di dare spazio alla proposta di studi accademici guidati da un forte razionale scientifico, piuttosto che da motivi regolatori, soprattutto nei casi in cui i dati pre-clinici diano un forte razionale alla sperimentazione clinica”.
Le donne affette da un tumore triplo negativo sono mediamente giovani e muoiono rapidamente, in meno di un anno. E’ per questo che una sopravvivenza di 25 mesi, ottenuta con questo studio dal disegno ‘basic’ è enorme. Questi risultati rappresentano dunque una grande speranza in un campo dove per 30 anni non c’è stato niente.
I tumori della mammella tripli negativi rappresentano il 15% circa di tutti i tumori della mammella; di questi solo il 5-7% presenta la mutazione BRCA. Ogni anno se ne registrano in Italia 7-8.000 nuovi casi.

Roche ha reso noto di aver condiviso i risultati dello studio con FDA e EMA, al fine di determinare l'iter regolatorio più appropriato nei confronti di atezolizumab nel tumore della mammella triplo negativo.
 
Maria Rita Montebelli

20 ottobre 2018
© Riproduzione riservata

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