Nanoparticelle: la nuova frontiera per la cura delle patologie oculari
L’avanzamento di degenerazione maculare e retinite pigmentosa può essere rallentato grazie all’uso di nanoparticelle artificiali. Questi minuscoli veicoli possono infatti portare i farmaci steroidei che arrestano le due patologie direttamente all’interno delle cellule malate.
15 DIC - Sono grandi appena 4 nanometri, ovvero quanto un paio di molecole di Dna affiancate, eppure offrono un metodo innovativo per curare patologie oculari legate all’età come degenerazione maculare e retinite pigmentosa. Si tratta di piccole nanoparticelle, chiamate dendrimeri, che un gruppo misto di ricercatori della Wayne State University, della Mayo Clinic e della Johns Hopkins Medecine ha usato come veicolo per portare una cura steroidea alle cellule danneggiate dalle malattie. Il nuovo trattamento, descritto in un
articolo pubblicato su
Biomaterials, sarebbe utile per lenire l’infiammazione che causa le patologie lasciando il resto dell’occhio al sicuro.
Sia la degenerazione maculare che la retinite pigmentosa sono causate infatti da una neuroinfiammazione che danneggia progressivamente la retina e può portare alla cecità. “Ad oggi non esiste cura per queste malattie, quindi una cura efficace potrebbe essere utile per milioni di pazienti nel mondo”, ha spiegato
Raymond Iezzi della Mayo Clinic. “Il nostro metodo ha come bersaglio proprio le cellule che causano il danno. Si tratta delle cosiddette cellule microgliali, un particolare tipo di unità del sistema immunitario il cui scopo è normalmente quello di rimuovere il materiale che sta per morire o già morto nell’occhio. Quando vengono attivate, però, queste cellule possono portare all’infiammazione del sistema nervoso centrale che è causa delle patologie”.
Con questo lavoro sperimentale i ricercatori hanno dimostrato come sia possibile usare una piccolissima quantità di un particolare tipo di nanoparticelle(dendrimeri chiamati
hydroxyl-terminated polyamidoamine) cariche di un particolare steroide per offrire protezione all’infiammazione per un mese. “I dendrimeri sono i veicoli perfetti per le molecole del farmaco”, ha spiegato
Rangaramanujam Kannan del Johns Hopkins. “Con nostra grande sorpresa la retina danneggiata sembrava scegliere di ‘mangiare’ proprio i dendrimeri riempiti di farmaco, non rilasciandoli per almeno un mese. In questo modo questi potevano portare le molecole alla base della terapia direttamente all’interno delle cellule malate. La consegna, dunque, era effettuata con estrema precisione”.
In questo modo l’infiammazione del sistema nervoso centrale poteva essere ridotta, e un danno irrecuperabile ai fotorecettori nella retina prevenuto. Sebbene gli steroidi nella cura offrano solo temporaneamente una protezione per la malattia, lo studio ha dimostrato che per i pazienti il sollievo risultasse sensibile. Secondo i ricercatori, inoltre, il metodo può essere ulteriormente migliorato.
Laura Berardi
15 dicembre 2011
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