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Fratture vertebrali da osteoporosi: il 75% non diagnosticato


Sono ogni anno oltre 100.000 soltanto in Italia. Tuttavia, nonostante siano presenti trattamenti sempre più efficaci, rimangono sottovalutate e sottodiagnosticate.

27 GIU - Le fratture vertebrali sono tra le più frequenti complicanze dell’osteoporosi ma tra le più sottovalutate, solo il 25-30% arriva alla diagnosi e ancora meno al trattamento. Anche perché non sono come le classiche fratture, ma riduzioni dell’altezza delle vertebre per lacune che si creano nell’osso trabecolare, deformandole. Le conseguenze sono dolore (a volte assente) che spesso diventa cronico, riduzione di statura e incurvamento, conseguenti problemi respiratori e gastrointestinali, ridotta mobilità e in generale qualità di vita, depressione: in più, aumenta specie entro uno-due anni dal primo evento la probabilità di nuove fratture, da 5 a 10 volte per quelle vertebrali e di due volte per quella del femore.
In Italia ci sono ogni anno oltre 100.000 fratture vertebrali da osteoporosi. “Una donna bianca di 50 anni ha un rischio del 16% di avere una frattura vertebrale nel resto della vita (un uomo il 5%), una di 65 una probabilità del 25% di averne una seconda entro cinque anni” rammenta Maria Luisa Bianchi, specialista Centro di Malattie metaboliche ossee dell’Istituto auxologico italiano-Milano. “Invece, con un’adeguata terapia il rischio può essere dimezzato. Si riducono anche dolore, disabilità, mortalità”. Le fratture vertebrali infatti si legano anche a un aumento di mortalità, quantificato da uno studio giapponese in una riduzione di sopravvivenza a dieci anni del 20% in uomini e donne over 70 con queste fratture, rispetto a coetanei che non le avevano. “La rilevanza clinica e sociale di queste fratture è nota ma c’è sottovalutazione e molti casi non vengono diagnosticati e trattati. Terapie efficaci ci sono, farmacologiche e chirurgiche, oltre a questi bisogna prendere in cura tutti problemi, dal dolore, alla riabilitazione. E il paziente va motivato per garantire l’aderenza terapeutica”.
Le fratture osteoporotiche sono un problema epidemiologico mondiale, se nel 2000 si stima siano state 9 milioni, di cui 1.700.000 del polso, 1.600.000 del femore e 1.400.000 vertebrali, per il 51% in Nordamerica ed Europa (ma l’espansione riguarderà sempre più anche l’Asia). “Non c’è abbastanza consapevolezza nelle persone su questi rischi di fratture da fragilità e nonostante le possibilità di diagnosi e terapie tempestive nella pratica clinica queste vengono scarsamente prescritte persino ai soggetti già ricoverati per una frattura osteoporotica”, rimarca Sergio Ortolani, responsabile Centro Malattie metaboliche osse dell’Istituto auxologico italiano di Milano. Almeno 10.000 fratture di femore all’anno si potrebbero così evitare in Italia. Da questo è nata l’idea di realizzare anche in Italia le “Fracture unit”, che nei paesi dove sono già presenti hanno visto aumentare dal 20 al 60% i pazienti trattati. È solo una riorganizzazione sulla base di protocolli specifici, senza costi aggiuntivi”. In seguito all’interessamento del ministero della Salute, si auspica possa partire entro un anno un progetto pilota di questo tipo in qualche regione italiana, tra cui Toscana, Lombardia e Lazio.
“Quando la frattura non è diagnosticata correttamente o tempestivamente l’approccio più comunemente attuato è quello conservativo cioè con analgesici, busto, fisioterapia e riposo a letto, peggiorando dolore, mobilità e qualità di vita”, afferma Giovanni Carlo Anselmetti, responsabile Servizio Radiologia interventistica dell’IRCC di Candiolo-Torino. “Ma così il circolo vizioso delle deformità conseguenti alle fratture vertebrali resta. Per questo sono state realizzate da oltre un ventennio procedure minimamente invasive di “vertebral augmentation”, oggi efficaci e sicure, come attestano gli studi più recenti”. Le più utilizzate sono la vertebroplastica e la cifoplastica percutanee: con la prima s’inietta cemento osseo (un cianoacrilato, del tipo già usato per il femore) con ago sotto guida con Tac o fluoroscopia digitale, nella seconda l’iniezione è effettuata dopo inserzione di catetere a palloncino. “Sono interventi sicuri perché guidati con estrema precisione, si effettuano in anestesia locale e dopo un giorno il paziente torna a casa - sottolinea Anselmetti - senza dolore, senza necessità di busto e con un recupero di mobilità e autonomia. Nella nostra casistica di 2000 pazienti, in una scala di dolore da 1 a 10 in media la riduzione è dal livello 8 all’1,6. La vertebroplastica è più indicata per fratture dolorose non recenti o multiple, la cifoplastica per quelle più recenti”. Nell’ampio studio Save su oltre 850.000 mila pazienti con fratture vertebrali pubblicato di recente sul Bmj, nei trattati con queste chirurgie mininvasive si è osservato a quattro anni un tasso di sopravvivenza del 60,5%, con un aumento significativo rispetto al 50% nei trattati con approccio conservativo o non chirurgico.

E. V. 

27 giugno 2011
© Riproduzione riservata

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