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Trauma cranico. La craniectomia decompressiva abbassa il rischio di morte

di Gene Emery

Un recente studio sU più di 400 casi di grave trauma cranico è giunto alla conclusione che l’intervento di craniectomia decompressiva può ridurre drasticamente la mortalità in circa il 50% dei pazienti con pressione intracranica >25 mmHg dopo la terapia medica convenzionale. Tuttavia, coloro che sopravvivono hanno maggiori probabilità di cadere in uno stato vegetativo o di incorrere in una grave disabilità rispetto a chi ha ricevuto cure mediche.

08 SET - (Reuters Health) - Un recente studio su più di 400 casi di grave trauma cranico è giunto alla conclusione che l’intervento di craniectomia decompressiva può ridurre drasticamente la mortalità in circa il 50% dei pazienti con pressione intracranica >25 mmHg dopo la terapia medica convenzionale. Tuttavia, coloro che sopravvivono hanno maggiori probabilità di cadere in uno stato vegetativo o di incorrere in una grave disabilità rispetto a chi ha ricevuto cure mediche.

Lo studio internazionale, noto come RESCUEicp Trial, è stato pubblicato in questi giorni da The New England Journal of Medicine. Il coordinatore della ricerca, Peter Hutchinson, un neurochirurgo della Università di Camridge, ha detto che i risultati possono essere applicati a circa il 10% dei pazienti con ipertensione endocranica a seguito di trauma cranico non penetrante. Nella maggior parte dei casi restanti, sono i farmaci che riescono a ridurre la pressione. Nonostante questo intervento chirurgico venga eseguito nessuno sa veramente se il paziente ne beneficerà e se la pressione del cervello si abbasserà. I risultati clinici sono incerti e anche se lo studio dimostra una riduzione significativa della mortalità, in agguato c’è lo stato vegetativo o la disabilità.

Lo studio
I 408 pazienti, provenienti da 20 Paesi, sono stati arruolati dal 2004 al 2014 e sono stati valutati a 6 e 12 mesi secondo gli 8 punti dell’Extended Outcome Scale Glasgow. Grazie alla craniectomia decompressiva, il tasso di sopravvivenza a un anno è stato del 69,6% rispetto al 48,1% con le cure mediche. Tuttavia la chirurgia ha quasi quadruplicato le probabilità di finire in coma un anno dopo l’intervento chirurgico: 6,2% (dopo l’intervento) rispetto all’1,7% (senza intervento). Maggiori le percentuali di disabilità nei pazienti operati rispetto a quelli trattati con farmaci anche se i pazienti chirurgici nel tempo migliorano e a 12 mesi quasi la metà era autonomo a casa rispetto al 32% di quelli sottoposti a trattamento farmacologico.
 
A un anno nei pazienti chirurgici si sono riscontrati seguenti tassi: 30,4% per la morte, 6,2% per il coma, 31,4% per grave disabilità, 22,2% per la disabilità moderata e 9,8% per un buon recupero; nel gruppo di controllo i tassi sono stati rispettivamente: 52,0%, 1,7%, 17,9%, 20,1% e 8,4%. E’ la prima volta che uno studio dimostra un beneficio in termini di sopravvivenza molto chiaro ma, affermano i clinici, bisogna essere molto onesti con le famiglie circa il livello di disabilità che si può ottenere.

Fonte: NEJM 2016

Gene Emery

(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Science) 

08 settembre 2016
© Riproduzione riservata

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