Immunodeficienze primitive. All’Istituto superiore di sanità lo stato dell’arte sulle terapie
di Marco Landucci
Uno studio dell’Università Cattolica del Sacro Cuore ha dimostrato come le terapie sottocutanee, in particolare quelle con meccanismi di rilascio innovativi, sono meno costose per il Servizio sanitario Nazionale e consentono al paziente una migliore qualità della vita. Questo quanto emerso dall'incontro realizzato con il contributo non condizionato di Baxalta.
18 MAG - Le immunodeficienze primitive sono un gruppo di malattie rare, oltre 200, che comportano un deficit anticorpale. Per contrastarle sono necessarie terapie croniche sostitutive con immunoglobuline per via endovenosa o sottocutanee. Uno studio dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, presentato oggi dal professor Mennini all’Istituto Superiore di Sanità, dimostra che le terapie sottocutanee, in particolare quelle con meccanismi di rilascio innovativi, sono meno costose per il Servizio sanitario Nazionale e consentono al paziente una migliore qualità della vita. E’ quanto emerso dall’incontro “Immunodeficienze primarie e secondarie tra complessità terapeutiche, innovazione e sostenibilità”,realizzato con il contributo non condizionante di Baxalta.
“Abbiamo condotto uno studio sulle immunodeficienze primarie, andando ad analizzare le modalità di somministrazione delle immunoglobuline e se c'era differenza tra sottocutanee o endovenose”, ha spiegato
Francesco Saverio Mennini dell’Università degli studi di Roma Tor Vergata. I risultati hanno dimostrato che ci sono costi inferiori con l'uso delle sottocutanee rispetto alle endovenose stimati intorno ai 3 mila euro a paziente per anno. Abbiamo registrato anche un miglioramento della qualità della vita dei pazienti per la minore invasività soprattutto con i nuovi meccanismi di Drug delivery di recente in commercio. Inoltre si aggiunge il beneficio di un minore spreco del farmaco perché si fanno molte meno iniezioni al paziente stesso per l'intromissione dell'immunoglobulina”.
I costi totali per la cura di queste patologie secondo lo studio ammontano a circa 13/15 milioni di euro. “Non sono però quelli realmente sostenuti dal Sistema Sanitario Nazionale – aggiunge Mennini - perché a questi costi bisognerebbe aggiungere le spese dei centri trasfusionali, in particolare i costi legati alla produzione del plasmaderivato e alla sua somministrazione. Molti pazienti, pari quasi al 40 per cento del campione totale, infatti fanno le infusioni direttamente in questi centri dove si fa anche una raccolta sangue. Ad oggi manca una valutazione complessiva di questo costo, che viene erroneamente calcolato zero, ma possiamo facilmente dedurre un ulteriore costo per i trattamenti endovenosi a scapito di quelli sottocutanei. Ecco perché concentreremo la seconda parte della ricerca sulla valutazione di questo tipo di impatto economico”.
Le immunodeficienze primarie e secondarie hanno inoltre un grosso problema di Sanità pubblica legato principalmente al ritardo diagnostico. “Assistiamo a numerosi casi di bambini con numerose infezioni polmonari o altre infezioni – spiega
Domenica Taruscio del Centro Nazionale Malattie Rare - spesso diagnosticate non tempestivamente con conseguenze molto gravi. Possiamo ovviare a questo problema facendo formazione ai medici, elaborare e diffondere linee guida per una migliore diagnosi e cura di queste patologie e far conoscere i centri dove i pazienti devono recarsi per avere una diagnosi tempestiva e un pronto trattamento”.
Infine
Walter Ricciardi, Presidente Istituto Superiore di Sanità ha ricordato che “la ricerca italiana è all'avanguardia nella cura delle immunodeficienze. Ma ci sono molte disparità nell'accesso alle cure tra regione e regione. Il nostro compito, che speriamo di realizzare pienamente con la riforma costituzionale, è impedire che ci siano differenze così forti”.
Marco Landucci
18 maggio 2016
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