Cardiologia. Tutte le novità di edoxoban il nuovo anticoagulante orale giapponese
di Maria Rita Montebelli
Una serie di studi presentati al congresso dell’American Heart Association dimostrano che questo nuovo anticoagulante orale è sicuro nell’anziano e ha un buon rapporto di costo-efficacia rispetto al warfarin. In uno studio di fase I, presentato al congresso dei cardiologi e pubblicato in contemporanea su Circulation, dimostra la validità del 4F-PCC come ‘antidoto’ in caso di emergenza.
25 NOV - Lo studio ENGAGE AF-TIMI 48, condotto su 21.105 pazienti con fibrillazione atriale non valvolare, ha dimostrato che l’edoxaban in monosomministrazione giornaliera , sia ad alte dosi (60 mg/die) che a basse dosi (30 mg/die) è non inferiore al warfarin per la prevenzione dell’ictus o del trombo-embolismo sistemico nei soggetti con fibrillazione atriale non valvolare, ma determina tassi di sanguinamento decisamente inferiori e una ridotta mortalità cardiovascolare rispetto al warfarin.
I dati derivanti da una nuova analisi dello studio ENGAGE AF-TIMI 48 evidenziano che il profilo di
safety dell’edoxaban, è nettamente migliore rispetto a quello del warfarin, in particolare tra i pazienti più anziani che sono quelli a maggior rischio di sanguinamento e di emorragia intracranica. L’età rappresenta un importante fattore di rischio per la fibrillazione atriale. La frequenza di questa aritmia infatti aumenta con il passare degli anni.
L’età rappresenta anche uno dei punti che compongono il punteggio della scala CHADS
2, ma anche dell’HAS-BLED
score. Gli anziani sono infatti anche a più elevato rischio di sanguinamento; per questo, gestire un trattamento anticoagulante in questa categoria di pazienti può essere molto difficile.
In una ulteriore analisi dello studio ENGAGE-AF TIMI 48 si è valutato l’effetto dell’età sull’andamento clinico dei pazienti con fibrillazione atriale, oltre all’efficacia e alla
safety dell’edoxaban, confrontata con il warfarin, negli anziani con fibrillazione atriale non valvolare.
L’
endpoint primario di efficacia (popolazione
intention to treat) era l’ictus e gli eventi embolici sistemici (SEE), mentre l’
endpoint principale di
safety era un sanguinamento maggiore secondo i criteri dell’ISTH. Tutti gli eventi venivano giudicati in cieco, da un comitato indipendente.
Per valutare l’associazione dell’età con gli
outcome, è stato valutato separatamente il gruppo in terapia con warfarin; in questi pazienti è stato riscontrato un incremento graduale degli ictus, degli ictus ischemici e degli eventi embolici sistemici (SEE) con l’aumentare dell’età. Lo stesso gradiente, ma più importante in termini assoluti è stato riscontrato, per i sanguinamenti maggiori secondo la classificazione ISTH ; anche gli episodi di emorragia intracranica mostravano un aumento statisticamente significativo con l’aumentare dell’età.
Confrontando l’edoxaban rispetto al warfarin, si evidenza che l’edoxaban ad elevato dosaggio aveva un effetto simile su
stroke e SEE, sugli
stroke ischemici e sui sanguinamenti maggiori. Mentre con l’edoxaban ad alte dosi appariva ridotto il rischio di emorragia intracranica nei soggetti oltre i 65 anni.
Confrontando invece l’edoxaban a basse dosi con il warfarin, si rilevava un
trend lievemente a favore del warfarin per
stroke ed SEE e per
stroke ischemici; tuttavia l’edoxaban a basse dosi riduceva nettamente il rischio di emorragie maggiori e di emorragie intracraniche.
Sono stati esaminati anche altri
endpoint come gli ictus fatali, le emorragie fatali e le emorragie del tratto intestinale superiore, senza rilevare alcun aumento in nessuno degli
outcome per l’edoxaban e questo rappresenta un dato rassicurante.
E’ stata quindi valutata la riduzione del rischio assoluto per l’edoxaban, rispetto al warfarin, come numero di eventi per 10.000 anni-paziente. L’edoxaban ad alte dosi, riduceva il rischio di
stroke/SEE in tutte le classi d’età dei pazienti, ma in maniera molto più pronunciata nei più anziani. Ridotto anche il rischio di
stroke ischemico tra i più anziani, ma non nelle altre fasce d’età.
Per quanto riguarda la riduzione del rischio assoluto di sanguinamenti maggiori secondo la classificazione ISTH, rispetto al warfarin si è rilevata una drammatica riduzione del rischio per entrambi i dosaggi di edoxaban e come già visto questo tipo di sanguinamento è nettamente amplificato con l’età. Molto importante anche la riduzione di rischio assoluto delle emorragie intracraniche, in questa che è la complicanza più temuta della terapia anticoagulante.
Infine è stato confrontato l’
outcome clinico netto primario prespecificato, definito come
stroke/SEE, sanguinamenti maggiori e mortalità da tutte le cause tra le due classi di trattamento. E i risultati dimostrano che entrambi le dosi di edoxaban riducono il rischio assoluto di questo
endpoint clinico netto prespecificato in tutte le fasce d’età, ma soprattutto nella fascia più anziana ( > 75 anni), rispetto al warfarin. Questo è largamente dovuto alla prevenzione dei sanguinamenti maggiori.
Con l’edoxaban sono risultati ridotti i tassi assoluti di sanguinamento maggiore e di emorragia intracranica, rispetto al warfarin. L’edoxaban mostrava dunque un beneficio clinico netto superiore rispetto al warfarin nel ridurre il rischio di sanguinamenti, in particolare nei pazienti anziani.
In conclusione dunque, il profilo di efficacia e di sicurezza dell’edoxaban, confrontato con quello del warfarin, è molto favorevole, indipendentemente dall’età, nei pazienti con FA. I benefici assoluti dell’edoxaban tendono ad apparire addirittura superiori negli anziani.
Questo risultato insieme a tutti gli altri supporta dunque la scelta dell’edoxaban come valida alternativa nell’anziano.
Un’analisi economica dell’ENGAGE AF-TIMI 48, presentata al congresso dell’
American Heart Association ha valutato il rapporto di costo-efficacia di edoxaban a basso ed alto dosaggio, confrontandola con quella del warfarin, calcolato per tutta la durata della vita di un paziente con fibrillazione atriale.
A questo scopo sono stati utilizzati un modello Markov basato sui dati dell’ ENGAGE AF-TIMI 48, le statistiche americane sulla durata della vita e gli studi pubblicati in letteratura riguardanti costi ed esiti a lungo termine degli eventi non fatali nei pazienti con fibrillazione atriale. I dati dell’ ENGAGE AF-TIMI 48 sono stati utilizzati per desumere i tassi di eventi aggiustati per l’età per il warfarin e gli
hazard ratio (HR) per l’impatto relativo dell’edoxaban ad alto e basso dosaggio, rispetto al warfarin, sulle complicanze emboliche ed emorragiche.
Sono stati considerati i costi d’acquisto all’ingrosso del 2013 sia per il warfarin (11 dollari al mese), che per l’edoxaban (269,18 dollari al mese, assunto come costo medio di mercato dei nuovi anticoagulanti).
Per l’edoxaban ad alto dosaggio rispetto al warfarin i costi dell’anticoagulazione a vita sono risultati rispettivamente di 42.846 dollari, contro 27.094 dollari. Questo si traduce in un rapporto incrementale costo-efficacia (ICER,
incremental cost-effectiveness ratio) per l’edoxaban ad alto dosaggio, rispetto al warfarin di 46.393 dollari per QALY (
Quality Adjusted Life Years, un indice che combina quantità e qualità della vita) guadagnato. Nel caso dell’edoxaban a basso dosaggio, rapportato al warfarin, l’ICER è risultato pari a 67.320 dollari /QALY.
L’ICER è il rapporto della differenza della spesa rispetto ai benefici incrementali di un determinato intervento terapeutico, ovvero il costo incrementale del fare una terapia, rispetto al non farla, per ottenere un’unità incrementale di efficacia (in questo caso un QALY) ed è una misura utilizzata in economia sanitaria per guidare i processi decisionali in sanità.
Quest’analisi ha dimostrato che è necessario spendere 46 mila dollari per guadagnare un QALY con l’edoxaban ad alto dosaggio e visto che a livello internazionale lo spartiacque per considerare valido un intervento terapeutico è di 50.000 dollari per QALY guadagnato, l’edoxaban dimostra, anche da un punto di vista di costo-efficacia la sua piena validità.
Nonostante gli elevati costi d’acquisto, l’edoxaban ad alto dosaggio si conferma così un’alternativa terapeutica valida, anche dal punto di vista farmaco-economico, rispetto al warfarin, per la prevenzione dell’ictus e delle embolie sistemiche nei soggetti con FA. L’edoxaban a basso dosaggio ha un valore intermedio secondo una prospettiva economica.
Altro importante argomento è quello degli ‘antidoti’ per annullare gli effetti anticoagulanti dei NOA (nuovi anticoagulanti ) in caso di emergenza. Uno studio di fase I, presentato al congresso dell’
American Heart Association e pubblicato in contemporanea su
Circulation, ha valutato gli effetti del 4F-PCC (
prothrombin complex concentrate a 4 fattori) sul sanguinamento da edoxaban in caso di biopsia.
Allo stato attuale non esistono ‘antidoti’ specifici per alcuno dei nuovi anticoagulanti orali.
Per valutare l’annullamento dell’effetto di una singola dose di 60 mg di edoxaban attraverso il 4F-PCC sono stati considerati i seguenti parametri: durata del sanguinamento da
punch biopsy (
endpoint primario); volume del sanguinamento da
punch biopsy (BV) e un parametro di un test di generazione della trombina (ETP).
La
punch biopsy è un metodo di valutazione del sanguinamento, già validato per il warfarin e consiste nell’esecuzione di una biopsia profonda 4-5 mm sulla parte posteriore della coscia.
Per lo studio sono stati arruolati 22 volontari di 30 anni di età media.
Il 4F-PCC, che è risultato ben tollerato, ha annullato il prolungamento della durata del sanguinamento indotta dall’edoxaban in una maniera dose-dipendente. Una dose di 50 UI/Kg di 4F-PCC è risultata in grado di annullare l’attività dell’edoxaban, somministrato al dosaggio terapeutico di 60 mg.
Perché è importante avere la possibilità di annullare l’effetto di un anticoagulante?
Perché aumenta i margini di sicurezza della farmacoterapia, facilita il trattamento di pazienti con patologie critiche o in caso di una procedura operatoria; fornisce nuove strategie per il trattamento dei pazienti e il
bridging.
Gli ‘antidoti’ per i nuovi anticoagulanti attualmente in fase di studio sono: molecole inorganiche che si legano a questi farmaci (es. PER977), molecole biologiche-‘esca’ con legami competitivi (es. andexanet-alfa); molecole biologiche che non si legano in maniera specifica come interazione polionica/policationica (protamina, rPF4); anticorpi monoclonali ‘disegnati’ specificamente per legarsi all’anticoagulante (es. idarucizimab per il dabigatran). Un’altra strategia è rappresentata dal somministrare proteine della coagulazione: PCC (
prothrombin complex concentrate), rFVIIa (fattore VIIa ricombinante)
Il PCC annulla gli effetti degli inibitori del fattore Xa, sia in vitro che in volontari anti-coagulati. Nel frattempo sono in fase di studio tutta una serie di nuove molecole mirate che forniranno probabilmente un giorno nuove strategie terapeutiche.
L’edoxaban è un inibitore del fattore Xa approvato in Giappone per la prevenzione del’ictus da fibrillazione atriale, per il trattamento e la prevenzione delle recidive di trombosi venosa profonda e per la prevenzione delle tromboembolie venose conseguenti ad interventi ortopedici. E’ attualmente al vaglio delle autorità regolatorie di molti altri Paesi del mondo.
Maria Rita Montebelli
25 novembre 2014
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