HIV. Ecco perché il virus persiste nonostante il trattamento. Un risultato utile per lo studio di nuove terapie
di Viola Rita
Un serbatoio persistente del virus è quello delle ‘cellule T staminali di memoria’, un particolare tipo di globuli bianchi che sopravvivono a lungo termine ai trattamenti, più delle altre cellule T. Lo studio su Nature Medicine potrebbe aprire la strada a nuove strategie di cura
15 GEN - Dove si nasconde l’HIV? Uno studio svela perché il virus sopravvive alla terapia: quest’ultima, infatti, non riesce a 'uccidere' alcune cellule infette, cioè le ‘cellule T staminali di memoria’, le quali, come una sorta di “serbatoio” virale, resistono alle cure ed hanno una vita molto lunga. Lo studio, condotto dal Massachusetts General Hospital a Boston, dall'University of Delaware negli Stati e da altri Istituti e Università, è pubblicato su
Nature Medicine. Così, tali cellule potrebbero essere colpite in maniera più specifica da alcuni farmaci in corso di sviluppo.
In generale, come spiega
Ryan Zurakowski, coautore dello studio, i trattamenti terapeutici bloccano l’infezione di nuove cellule e contano sul fatto che il virus stesso uccida le cellule infette. Ciò non vale, però, per le cellule T dette 'di memoria'. In pratica, esse sono dei globuli bianchi della famiglia dei linfociti, prodotti dalla ghiandola del timo, che partecipano attivamente alla risposta immunitaria dell’organismo. Queste cellule possono vivere per anni o persino per decenni, fornendo immunità a lungo termine alle malattie già presenti. E formando così delle infezioni “quiescenti”, che durano per anni e causano la ripresa del virus quando il paziente interrompe il trattamento.
Durante lo studio, durato dieci anni, i ricercatori hanno scoperto che non tutte le cellule T di memoria sono uguali. Un sottogruppo di queste cellule, chiamate appunto ‘cellule T staminali di memoria’ (‘Stem-Cell Memory T-cells’ – TSCM), sono differenti, in particolare nella loro abilità di produrre ‘cellule figlie’. I ricercatori hanno dimostrato che queste cellule TSCM con infezione da HIV nei pazienti sottoposti alla terapia vengono distrutte più lentamente degli altri tipi di cellule T. L’esito? Dopo 10 anni di trattamento, le TSCM rappresentano il 24% della popolazione totale di cellule infette, nonostante siano soltanto l’1% di tutte le cellule T. Un risultato significativo, che indica che questi linfociti sono quelli che vengono debellati più lentamente di tutti gli altri.
“Soprattutto questo particolare tipo di cellule gioca un ruolo sempre più importante che sono rimasti in terapia”, ha sottolineato Zurakowski. “Dato che i ricercatori hanno seguito gli stessi pazienti per oltre un decennio, abbiamo costituito un set di dati ad altà fedeltàche altrimenti non sarebbe stato possibile”.
Alcuni farmaci in corso di sviluppo (che mirano a cellule staminali attraverso percorsi metabolici), potrebbero essere in grado di colpire queste cellule TSCM, a causa proprio del fatto che le TSCM sono simili a cellule staminali, ha proseguito lo scienziato.
Una migliore comprensione del meccanismo con cui il virus rimane in vita attraverso queste cellule potrebbe portare a migliorare le strategie cliniche per il trattamento dell’HIV.
“Se possiamo trovare un modo per eliminare selettivamente le cellule TSCM con infezione da HIV, questo sarà un passo importante nello sviluppo di una vera e propria ‘cura’ per l'infezione da HIV”, ha concluso Zurakowski.
Viola Rita
15 gennaio 2014
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