Alzheimer. Un nuovo test "fai da te" in 15 minuti
di Viola Rita
Si chiama SAGE e necessita solo di carta e penna. Si basa su una serie di compiti per misurare la memoria, il linguaggio, l’orientamento, la capacità di ragionamento e calcolo. Così può individuare precocemente sintomi di malattie come l'Alzheimer. Lo studio è pubblicato su The Journal of Neuropsychiatry and Clinical Neurosciences
14 GEN - Il SAGE test (Self-Administered Gerocognitive Examination) è un nuovo esame affidabile e rapido (tempo necessario pari a un quarto d’ora) per misurare le abilità cognitive di una persona. Questo risultato, ottenuto dai ricercatori dell’Ohio State University Wexner Medical Center negli Stati Uniti e pubblicato su
The Journal of Neuropsychiatry and Clinical Neurosciences, conferma la fattibilità e l’efficacia di uno strumento che può essere utile per individuare sintomi cognitivi tipici di malattie neurodegenerative come l’Alzheimer.
“Il test può essere effettuato a casa dal paziente stesso, che può così condividere i risultati con il proprio medico per aiutarlo a distinguere i primi sintomi di un problema cognitivo, come una demenza precoce o la malattia di Alzheimer, ha spiegato ha spiegato il Dottor
Douglas Scharre, che ha sviluppato il test insieme al team dell’Ohio State University. “Spesso i medici non riconoscono i sottili sintomi cognitivi durante una visita di routine”, sottolinea. “Possiamo somministrarlo periodicamente e, al momento che notiamo qualsiasi cambiamento nelle abilità cognitive, possiamo intervenire in maniera molto più rapida”.
Scharre, specializzato nel trattamento dell’Alzheimer, ha affermato infatti che i trattamenti sono più efficaci quando vengono avviati nei primi stadi della malattia.
Purtroppo, i pazienti con malattia di Alzheimer spesso aspettano 3 o 4 anni dopo la comparsa dei sintomi prima di ricorrere ad un trattamento.
Ma come si svolge questo test? Per effettuarlo, bastano carta e penna e circa 15 minuti di tempo: si basa su quattro schede equivalenti e intercambiabili, da poter completare in qualsiasi ambiente. Tale test non richiede tempo per gestire o impostare un computer e può essere somministrato contemporaneamente ad un ampio numero di persone.
In questo studio, in particolare, i ricercatori hanno preso in considerazione 1047 persone, di età dai 50 anni in su, che sono state reclutate da diversi contesti e strutture, tra cui case di riposo, centri per anziani ed eventi dedicati alla salute. I partecipanti non avevano mai svolto in precedenza questo test.
“Delle 1047 persone sottoposte al test basato su ‘carta e penna’, il 28% ha presentato un indebolimento cognitivo”, ha affermato Scharre, che ha individuato circa quattro persone su cinque (80%) mostravano lievi problemi cognitivi (memoria e ragionamento), mentre il 95% delle persone senza problemi aveva punteggi normali al test SAGE.
I partecipanti sono stati ‘esaminati’ rispetto a questi aspetti cognitivi: orientamento temporale (mese + anno + data), linguaggio (fluenza verbale + compito di attribuzione di un nome alle immagini), ragionamento e calcolo (capacità di astrazione e di fare dei conti), competenze visivo-spaziali (costruzione tridimensionale e rappresentazione del tempo), capacità esecutive (risoluzione di problemi) e abilità di memoria.
Ai partecipanti sono state date le informazioni del loro punteggio, relative al test SAGE, ed è stato consigliato loro di mostrarle al medico per interpretazioni e per eventuali indagini future o valutazioni basate sulla loro storia medica. A tutti è stato spiegato che questo test rappresenta un riferimento da confrontare con un futuro nuovo screening del medico.
L’aver perso sei o più punti nella prova SAGE da 22 punti di solito garantisce un ulteriore follow-up da parte del medico .
In Italia oltre un milione di pazienti sono affetti da demenza, di cui il 50-60% dei casi è rappresentato dall’Alzheimer, mentre in America ad avere questa malattia sono ben 5 milioni di persone (in tutto il mondo circa 36 milioni – ‘Rapporto mondiale Alzheimer 2013’).
“Se tutto va bene, questo test contribuirà a cambiare quelle situazioni”, ha detto Scharre.
“Stiamo trovando trattamenti migliori, e sappiamo che per i pazienti è molto meglio iniziarli i prima che poi", conclude Scharre.
Viola Rita
14 gennaio 2014
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