Alzheimer. Ogni 10 minuti un italiano perde la memoria. Si stimano 1 milione di casi l’anno
Ma solo 700 mila sono censiti. I dati di due indagini diffusi oggi a Roma in occasione della prossima giornata mondiale del 21 settembre. Tra dieci anni il numero dei malati, solo in Italia, salirà a 3 milioni. Ma l'Alzheimer resta ancora misconosciuto e sottostimato a causa per l'assenza di test specifici e per problemi di comunicazione tra medico, paziente e caregiver.
19 SET - Sarà la malattia del futuro, il vero segnale dell’allungamento della vita media, prevista a 120 anni nel giro del prossimo cinquantennio. Ma c’è un ma: invecchiare ha un prezzo, si chiama Alzheimer e in trent’anni in Italia vi saranno oltre 3 milioni di persone che avranno bisogno di cure e di assistenza ininterrotta per molto più tempo, considerando che nel 10% dei casi le forme di demenza iniziano già prima dei 65 anni.
Questo soprattutto perché il 46% dei medici afferma che l’Alzheimer è misconosciuto e sottostimato a causa dell’assenza di test specifici e definitivi e di problemi di comunicazione tra medico, paziente e caregiver. Limiti che portano ad una mancata diagnosi iniziale di malattia nel 43% dei casi (circa quattrocento mila su un milione di pazienti), e che avviene solo quando è già ad uno stadio molto avanzato o grave. Con ripercussioni pesanti proprio sui caregivers – oltre 2 milioni in Italia, otto volte su dieci donne (mogli, figlie, nuore) e fra loro uno 1 su 4 già over 65 – che dedicano all’ammalato più di 15 ore al giorno, per un totale di sette miliardi di ore di assistenza all’anno, per un periodo di 8-10 anni, ricavandoa malapena 4 ore alla settimana di tempo libero per se stesse.
Oltre alla necessità di tempestività diagnostica per rallentare queste condizioni estreme, metà dei medici ritiene, inoltre, fondamentale differenziare l'Alzheimer dalle altre forme di demenza per offrire cure più appropriate. Sono questi alcuni dei dati che sono emersi dall’International Alzheimer's Disease Physicians Survey, un’indagine realizzata da Eli Lilly, che quest’anno celebra i 25 anni di ricerca e sviluppo di nuove soluzioni terapeutiche per la malattia. L’indagine è stata presentata a Roma in occasione del Talk Show “
Ti ricordi? Ogni dieci minuti nel nostro Paese qualcuno perde la memoria” organizzato dall’Associazione Italiana Malattia di Alzheimer e condotto da Franco di Mare.
L’indagine, nata per valutare le difficoltà e barriere diagnostiche della patologia, ha coinvolto medici di 5 Nazioni (US, UK, Italia, Francia e Giappone) con esperienza variabile da 2 a 30 anni, con più del 70% del tempo dedicato alla malattia da parte di neurologi e più del 50% per geriatri e psichiatri. Numeri che sono affiancati da un’altra indagine, tutta italiana, che esplora attraverso dei diari emozionali, il vissuto dei pazienti e quello – problematico e a volte disperato – proprio dei caregivers.
“L'indagine internazionale – commenta
Carlo Caltagirone, Professore di Neurologia all’Università di Roma Tor Vergata e Direttore Scientifico della Fondazione Santa Lucia di Roma – ha evidenziato che l'Alzheimer è la più comune forma di demenza con un tasso in costante crescita. Nel 2010, 35.6 milioni di persone nel mondo ne erano affette, un dato destinato a raddoppiarsi nell'arco di 20 anni, con già nel 2030 65.7 milioni di casi e 115.4 milioni di diagnosi nel 2050. Una proporzione assolutamente trasferibile in Italia, dove si registrano all’incirca 700 mila ammalati, con circa 80 mila nuovi casi ogni anno. Ma sono cifre sottostimate perché esiste ancora un 43% di malattia non diagnosticata. Le difficoltà infatti sono percepite anche in campo medico, seppure sia chiaro che la manifestazione classica dell’Alzheimer – un prevalente disturbo della memoria – oggi rappresenta soltanto il 35-40% dei casi, anche in pazienti con oltre 65 anni di età. I nuovi criteri diagnostici promulgati dalla NIA (National Institute of Aging NIH) alla fine del 2012, hanno insegnato che l’attenzione va rivolta anche all’individuazione di altri disturbi: quelli delle funzioni esecutive (attenzione, concentrazione, duttilità cognitiva); del linguaggio (difficoltà evidenti nel rinvenimento dei nomi, confusione fra il nome di un oggetto e l’altro, difficoltà nell’articolare il linguaggio) e i disturbi viso-spaziali (difficoltà ad orientarsi negli ambienti aperti, nel memorizzare i percorsi, nel distinguere correttamente oggetti rappresentati visivamente rispetto ad altri). La presenza di uno solo di questi nuovi segnali deve indurre il paziente a sottoporsi ad una visita specialistica al fine di valutare l’entità e la sussistenza di questi disturbi cognitivi e di arrestarne il decorso”.
Una situazione di allarme, sociale e medico insieme, sulle conseguenze di una malattia, confermato da una seconda indagine, tutta italiana (“Alzheimer: deep understanding survey”), condotta tra Milano, Roma e Napoli, per esplorare sia le problematiche e il vissuto dei caregivers ed i bisogni dei pazienti (aspetto qualitativo), che per valutare l’impatto della malattia nel quotidiano del paziente del caregiver, l’esperienza nei centri di cura e le attese di supporto (aspetto quantitativo).
“L’Alzheimer – racconta
Patrizia Spadin, presidente dell’Associazione Italiana Malattia di Alzheimer (AIMA) – determina un impatto elevatissimo sulla qualità della vita dei caregiver e dei familiari, con un cambio radicale delle abitudini di vita, la riduzione del tempo e delle risorse da dedicare al resto della famiglia e al lavoro. Forte risulta l'affaticamento fisico, con sonno compromesso e annullamento dei propri spazi vitali e personali. Emerge l'impotenza rispetto all'evoluzione della patologia, aggravata dall'assenza di farmaci incisivi, la fatica e lo stress nella gestione quotidiana del malato per l'imprevedibilità giornaliera e gli eventuali comportamenti aggressivi che portano con sé frustrazione nel vedere non riconosciuto il proprio sforzo, il senso di colpa per avere trascurato i primi segnali, la vergogna e l'imbarazzo per eventuali comportamenti inadeguati”. Una condizione, questa, destinata per il caregiver a perdurare nel tempo poiché il paziente richiede un’assistenza continua 24 ore al giorno per un lasso di tempo non preventivabile e che progredisce con nuove e più importanti necessità mano a mano che la malattia si aggrava. “Ed è questa la ragione – continua
Spadin – per cui l’Alzheimer non solo destabilizza e ammala il paziente ma anche l’intero nucleo familiare. La criticità e la gravità della malattia sono oggi ulteriormente messe a dura prova dalla situazione globale del Paese impegnato a fronteggiare la mancanza di servizi adeguati e protetti, i tagli alla sanità e all’assistenza. Invece l’Alzheimer è una malattia che non ha bisogno solo di attenzione ma di un impegno legislativo vero, attento e continuativo”.
“Dai risultati dai colloqui coi caregiver – spiega il prof.
Roberto Bernabei, presidente di Italia Longeva – si nota che prima della malattia i pazienti erano persone attive e inserite in un contesto sociale, genitori/coniugi presenti e amorevoli. Poi la patologia ha reso il malato poco consapevole del suo stato e poco capace di esprimerlo anche a causa del caregiver che prende le distanze dal problema. Sono rare infatti le verbalizzazioni di vissuti di angoscia e disperazione del malato. Certamente questo pone il problema di programmare e di organizzare una sorta di ‘formazione’ di coloro che sono chiamati ad assistere questi pazienti, dai familiari stessi, alle badanti, a volte bravissime, ma spesso straniere e senza alcuna competenza specifica. E, infine, vista la difficoltà dell’assistenza prestata dai caregiver per la mancanza di farmaci risolutivi e l’incomprensione del malato, ritengo necessario istituire nei centri UVA reti di supporto psicologico”.
“Attualmente – spiega
Monica Di Luca, Farmacologa e vice presidente di European Brain Council – i principali disturbi del sistema nervoso centrale colpiscono una persona su tre nei paesi industrializzati (514 milioni di cittadini europei), e le malattie cerebrali sono tra le più diffuse e debilitanti. Trattandosi di patologie croniche, la qualità di vita e le prospettive socio-economiche individuali dei pazienti e dei familiari sono drammaticamente compromesse”. Studi recentissimi (2011-2012) pubblicati da EBC sull’
European Journal of Neurology, dimostrano che l'Europa spende più per i disturbi cerebrali che per malattie cardiovascolari e cancro: il costo totale delle patologie del cervello, inclusi i costi diretti e indiretti, ammonta a 798 miliardi di euro all’anno. “Questi nostri studi – conclude
Di Luca – posizionano la malattia di Alzheimer tra le dodici patologie cerebrali a più alto costo sociale ed economico per la società europea. Costi che continueranno ad aumentare nel quadro di un’aspettativa di vita della popolazione europea che aumenta. Siamo quindi di fronte alla sfida economica numero uno per l'assistenza sanitaria in Europa, nel presente e nel prossimo futuro. A questo proposito è bene ricordare che una diagnosi precoce e una terapia tempestiva possono contribuire a rallentare la progressione di malattia e l’istituzionalizzazione dei pazienti. Oltre che ridurre la prevalenza di malattia nella popolazione del 30%. Tutto questo è stato stimato per i pazienti in 6 anni in più di vita serena senza aumentare l’aspettativa di vita”.
19 settembre 2013
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