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Demenza. La ‘resistenza’ è familiare e dipende dalla proteina C-reattiva


A dirlo uno studio della Mount Sinai School of Medicine di New York, che dimostra che i parenti di chi si ha sviluppato sintomi di demenza fino alla vecchiaia inoltrata e presenta alti livelli della proteina potrebbero essere più resistenti allo sviluppo di deficit cognitivi in tarda età.

16 AGO - La ‘resistenza’ alla demenza potrebbe essere familiare: ecco quanto scoperto da uno studio pubblicato su Neurology e condotto dalla Mount Sinai School of Medicine di New York, che ha osservato come i parenti di persone che non si sono ammalate di demenza e che hanno alti livelli di proteina C-reattiva, una molecola che indica la presenza di infiammazione, hanno minori possibilità di sviluppare deficit cognitivi in vecchiaia.
 
Per lo studio, i ricercatori hanno arruolato un campione di 277 ultrasettantacinquenniche non presentavano sintomi di demenza e ne hanno analizzato i livelli di proteina C-reattiva nell’organismo. In seguito, ai partecipanti è stato chiesto di riportare se tra genitori o fratelli e sorelle c’erano casi di demenza: su 1329 parenti, un totale di 40 persone su 37 famiglie presentavano deficit cognitivi. Allo stesso modo ma separatamente altri 51 pazienti over-85, anche loro senza sintomi di demenza, hanno riportato 9 parenti affetti dal disturbo. Mettendo in correlazione questi dati con quelli relativi alla proteina C-reattiva, i ricercatori si sono resi conto che chi presentava alti livelli della molecola aveva un terzo di probabilità in meno di avere parenti con demenza, rispetto a coloro che ne avevano livelli bassi, sia nel primo che nel secondo gruppo. “In persone molto anziane con buone capacità cognitive, alti livelli di proteina C-reattiva sono di solito associati a una memoria migliore”, ha spiegato Jeremy M. Silverman, co-autore dello studio. “I nostri risultati dimostrano che queste percentuali di molecola nel sangue sono anche associati a un rischio minore per genitori, fratelli e sorelle di sviluppare demenza”.
“Dunque – ha concluso il ricercatore – le persone molto anziane che non presentano deficit cognitivi e che hanno alte quantità della molecola potrebbero presentare una sorta di resistenza alla malattia, e questa potrebbe essere condivisa con i parenti più stretti”.

16 agosto 2012
© Riproduzione riservata

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