“L’introduzione di nuove modalità di valutazione delle evidenze scientifiche da parte degli enti regolatori rappresenta un traguardo, un obiettivo sicuramente auspicato da molti di noi negli ultimi anni. Ed è una grande opportunità iniziare una discussione all'interno di un Ente regolatorio tanto prestigioso come quello europeo, non solo per il mondo della ricerca e dell'industria, ma anche e soprattutto per i nostri pazienti, perché in questo modo si mira a superare quella rigidità che negli anni scorsi ha visto gli Enti regolatori entrare nella definizione della linea di trattamento in funzione delle evidenze dimostrate in un singolo studio, modificando sostanzialmente non solo la disponibilità di questo o quel farmaco, ma aprendo una discussione sul tema della valutazione degli studi a singolo braccio. E questo rappresenta sicuramente uno dei tanti esempi che mi auguro che l'Agenzia vorrà portare alla discussione pubblica”.Lo afferma Paolo Marchetti, ordinario Oncologia alla Sapienza Università di Roma.
“Infatti - afferma - il mondo regolatorio si trova a dover assumere decisioni importanti per i nostri Pazienti, per la nostra pratica clinica e per la sostenibilità anche economica dell’intero sistema sanitario in presenza di un rapidissimo aumento delle nostre conoscenze biologiche e cliniche, che rende pressoché impossibile la pianificazione di studi randomizzati come sola e unica soluzione e risposta alle necessità di valutazione delle terapie. Questa metodologia, alla base della medicina basata sulla evidenza, continuerà ad avere un ruolo importante nel riconoscimento del significato e del valore di nuove terapie rispetto a quelle convenzionali, ma sarà necessario identificare modalità più snelle che diano garanzia ai pazienti non solo dal punto di vista dell'efficacia, ma anche della tollerabilità e della tossicità, attraverso una procedura che può a volte non ricalcare pedissequamente quelle del passato”.
“Quando i farmaci erano pochi, gli studi potevano essere condotti con molta più semplicità. I dati derivanti da studi a braccio singolo, ovviamente, presentano alcune importanti criticità: selezione e caratteristiche dei pazienti che vengono arruolati, valutazione degli endpoint, alla indicazione di quali sono i livelli soglia per determinarne l'efficacia. Sicuramente hanno necessità di essere accompagnati dal maggior numero di informazioni possibili rispetto a quelle che attualmente vengono raccolte. I dati derivanti dall'esperienza clinica quotidiana hanno rappresentato in molti studi un aspetto importantissimo nel guidare e modificare la pratica clinica: abbiamo avuto effetti collaterali che non erano così presenti negli studi clinici randomizzati svolti su gruppi di pazienti estremamente selezionati, che sono invece comparsi nella valutazione di popolazioni molto più ampie di soggetti; come d'altra parte abbiamo avuto una riduzione di alcuni effetti collaterali, con una migliore efficacia nella pratica clinica, perché dopo gli studi clinici registrativi, anche i diversi centri oncologici hanno imparato a gestire meglio questi effetti collaterali evitando potenziali tossicità. Quindi è importante riuscire a riconoscere meglio quelle che sono le caratteristiche generali dei nostri pazienti, anche in un contesto di vita reale. Ma per fare tutto questo in maniera corretta, chiaramente non dobbiamo lasciarci guidare dall'improvvisazione. Ed ecco allora che possiamo utilizzare una fonte di informazioni diversa da quelle convenzionali come la Real Word Evidence. Per acquisire informazioni di qualità non possiamo pensare di definire la validità di un trattamento basandoci su uno studio a braccio singolo, raccogliendo retrospettivamente informazioni che derivano dalla esperienza di uno studio a braccio singolo. In questo senso diviene importantissimo lo sforzo che molte istituzioni di prestigio a livello internazionale, ma anche nel nostro Paese, stanno attuando nei confronti della possibilità di raccogliere in maniera prospettica tutte le informazioni cliniche che riguardano i singoli pazienti, non sotto forma di una risposta in PDF, ma come dati sorgenti attraverso l’immissione prospettica di queste informazioni in piattaforme specifiche come i data lakehouse. E questo va dai dati della radiologia con formati di immagine in alta risoluzione, alle immagini fotografiche in alta definizione, alla acquisizione di immagini istologiche attraverso la digital pathology, o dati di profilazione genomica in formati esportabili e ricchi di informazioni, solo per citare alcuni esempi che potranno in un imminente futuro essere integrati con l’acquisizione della valutazione da parte del paziente degli effetti collaterali (PROs) o di dati vitali raccolti da sensori indossabili. Perché tutto questo potrà consentire di integrare le informazioni in una maniera coerente? Perché avremo informazioni raccolte prospetticamente di elevata qualità e soprattutto con standard condivisibili a livello non solo nazionale ma anche internazionale, che consentirà la valutazione di tutti quegli effetti interferenti. In questo senso direi che diviene, a mio avviso, molto più importante studiare i motivi di resistenza piuttosto che i motivi per cui il paziente risponde per identificare le possibili interferenze negative con un trattamento corretto e potenzialmente efficace. Tutta questa ricerca di “altri” fattori che ci consentano di capire meglio l’insieme dei fattori interni o esterni al paziente che condizionano la sua risposta, non può prescindere dalla prosecuzione degli studi di biologia molecolare volti ad identificare meccanismi intrinseci di resistenza. Troppo spesso, soprattutto con gli studi a braccio singolo, ci focalizziamo unicamente sull'attività di quel farmaco, in quella specifica condizione caratterizzata da un punto di vista biologico da specifiche caratteristiche, dimenticando che poi intorno a questo c'è un paziente che assume altri farmaci e ricordiamo come l'interazione tra farmaci determina a volte una riduzione del tempo di controllo della malattia di molti mesi, molto di più del vantaggio atteso per i nuovi farmaci! E questo non perché il farmaco non sia efficace, ma perché il paziente, a causa di altre patologie concomitanti, sta assumendo altri farmaci che rendono l'azione del farmaco principale meno attiva. Quindi, in questo mondo di interazioni ancora totalmente inesplorate e per le quali abbiamo necessità di trovare strumenti non solo statistici, ma anche informatici di analisi di dati così ampi e numerosi, diviene un elemento fondamentale quello di riuscire ad associare i dati di Real World Evidence alla ricerca con studi a braccio singolo. In questo senso trovo positiva un'iniziativa parlamentare recente che sta valutando la modalità di modificare, ad esempio, l'uso secondario dei dati che nel nostro Paese viene di fatto inibito in qualunque struttura assistenziale perché non c'è un consenso specifico per quel tipo di utilizzo. Senza questo strumento tutto quello di cui parliamo è solamente una ipotesi di lavoro, mentre è reale quanto stanno realizzando i colleghi in altri paesi europei dove la lettura del GDPR sulla privacy sicuramente non è stato così rigido e così costrittivo come nel nostro Paese”.