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Iperkaliemia: “occorre un cambio di passo”. Intervista a Luca De Nicola (SIN)

di C.d.F.

02 DIC - La Società Italiana di Nefrologia (SIN), ha pubblicato un anno fa, sul Journal of Nephrology, un Position Paper che metteva in luce la necessità di implementare nuovi trattamenti per l’iperkaliemia, una condizione frequente nei pazienti con malattia renale cronica per cui, in Italia, non sono disponibili farmaci efficaci. Bisogna cambiare paradigma, da un trattamento emergenziale a un approccio cronico e preventivo, come spiega a Quotidiano Sanità uno degli autori dell’articolo, Luca De Nicola, Professore Ordinario di Nefrologia, direttore della Struttura di Nefrologia e Dialisi e della Scuola di Specializzazione in Nefrologia dell’Università Vanvitelli di Napoli.

Professore, perché era importante redigere un Position Paper sulla gestione dell’iperkaliemia in pazienti con malattie renali?
Come SIN abbiamo deciso di portare all’attenzione di tutti i nefrologi e delle istituzioni sanitarie uno dei principali bisogni insoddisfatti nella terapia della malattia renale cronica: il trattamento dell’iperkaliemia. Le armi che abbiamo a disposizione sono infatti poco efficaci e tollerate, rendendo l’iperkaliemia molto frequente nei nefropatici. Nelle fasi avanzate di malattia, tale condizione non solo comporta un aumentato rischio di morte cardiovascolare, ma spinge anche il nefrologo, nel caso in cui le terapie a disposizione non riescano a far diminuire i livelli di potassio, a iniziare la dialisi.

Quali sono i messaggi fondamentali del Position Paper?
Il messaggio principale è che noi nefrologi italiani abbiamo bisogno di un cambio di passo.
I colleghi degli Stati Uniti e di altri Paesi Europei hanno a disposizione nuovi chetanti indicati per il trattamento dell’iperkaliemia cronica. Anche qui in Italia occorre un cambio di paradigma terapeutico per questa condizione: non più un trattamento emergenziale ma un intervento cronico e preventivo. La maggioranza dei pazienti con malattia renale cronica fanno uso infatti di ACE inibitori, di antagonisti dei recettori dell’agiotensina II e dell’aldosterone. Sono farmaci nefroprotettivi e salvavita, ma hanno come effetto collaterale comune l’iperkaliemia, complicanza che porta alla sospensione della terapia.

I farmaci approvati dalla Food and Drug Administration (Fda) e dalla European Medicines  Agency (Ema) di cui parlate nell’articolo e cui accennava sono il Patiromer e il  Sodio Zirconio Ciclosilicato. Per quali pazienti sono indicati?
Queste molecole sono indicate per pazienti con un’iperkaliemia (potassiemia  maggiore di 5.0-5.5 mEq/L) che non è possibile gestire con le terapie “tradizionali”, come dieta, bicarbonato di sodio. Da sottolineare che le vecchie resine, come il sodio polistirene sulfonato, non possonio essere somministrate cronicamente e sono poco tollerate dai pazienti per i noti effetti collaterali a livello dell’apparato gastrointestinale. L’inefficacia di queste terapie è testimoniata dalla osservazione che negli ambulatori di Nefrologia un paziente su tre continua a presentare alti livelli di potassio nel sangue.

Il Patiromer e il  Sodio Zirconio Ciclosilicato sono terapie che possono essere somministrate ai pazienti cronici, che assumo farmaci che aumentano il livello di potassio come quelli citati precedentemente. Un po’ come in combinazione con una terapia anti-infiammatoria si somministra di regola un gastroprotettore.

La gestione dell’iperkaliemia che, come abbiamo detto viene trattata in emergenza al momento, in epoca Covid-19, deve essere particolarmente complessa..
Naturalmente in questa fase tutte le dinamiche che abbiamo descritto sono state accentuate.
Molti colleghi sono stati arruolati nei reparti Covid-19, gli ambulatori delle malattie croniche come quelli di nefrologia sono stati chiusi e quindi le visite di follow-up dei pazienti cardiopatici, diabetici e nefropatici e che assumono terapie salvavita sono diminuite.

Mai come in questo periodo paghiamo il prezzo di non aver dato importanza alla prevenzione. Questa è la lezione principale che dobbiamo trarre dalla crisi. Non abbiamo mai potenziato il territorio, abbiamo sempre investito nelle cosiddette “eccellenze ospedaliere”, nei punti di riferimento per le patologie rare ma senza dare il giusto peso alle patologie croniche e degenerative, che sono oggi le malattie per cui si muore maggiormente, nel mondo occidentale.

Prevenzione, follow-up e monitoraggio sono fondamentali. Ricordiamoci che i pazienti colpiti più gravemente dal Covid-19 sono quelli che presentano comorbidità, i più fragili e gli anziani. Se riusciamo, con i farmaci inibitori del sistema renina-angiotensina-aldosterone a preservare rene, cuore e cervello, i pazienti arrivano in salute anche ad un’eventuale infezione. Per far questo però è necessario contrastare l’effetto collaterale principale di questi farmaci che è l’iperkaliemia.
 
C.d.F.
 
“Questo Progetto è stato condotto con il contributo non condizionante di AstraZeneca”

02 dicembre 2020
© Riproduzione riservata
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