Fraioli (HC&R): “Un sostegno alla classe media, che è la meno tutelata dalle istituzioni”. L'intervista
04 GIU - Il sistema solidaristico universale introdotto con la legge 883/78 si è rilevato insostenibile. A farne le spese, secondo
Franco Fraioli, vice presidente della Fondazione Health Care & Research Onlus, soprattutto la classe media che dopo la crisi è troppo povera per pagarsi privatamente le cure sanitarie ma troppo ricca per ricorrere agli aiuti dello Stato. Per colmare il vuoto assistenziale, arriva il progetto Privato Sociale. Che “non è in competizione con il Ssn, ma in ausilio”, sottolinea Fraioli.
Professor Fraioli, il progetto Privato Sociale nasce in una fase di crisi del Paese e del sistema sanitario. E’ la definitiva constatazione che il Ssn non è più in grado di essere universale?
Non lo è più da tempo. L’introduzione dei ticket, la revisione dei Lea, le infinite liste di attesa sono solo aspetti che lo dimostrano e non sono gli unici. Il sistema solidaristico universale, introdotto con la legge 833 del 1978, nasce con lo spirito di dare tutto a tutti ma oggi è evidente che questo non è economicamente sostenibile. Di conseguenza abbiamo assistito e assistiamo ancora oggi a una diminuzione dell’assistenza offerta dal servizio pubblico e all’aumento della domanda di salute che rimane insoddisfatta.
La crisi riguarda anche i cittadini e ha cambiato, in particolare, la vita della classe media, che prima se la passava tutto sommato bene e che oggi fa fatica ad arrivare a fine mese.
È proprio a loro che si rivolge il progetto
Privato Sociale, perché i ricchi, nonostante la crisi, sono ancora ricchi e in grado di pagare le prestazioni private, mentre i grandi poveri possono fare ricorso a sistemi di aiuto statali. Credo che la classe più colpita dalla crisi sia proprio quella media, che è la meno aiutata dallo Stato. La Fondazione HC&R Onlus vuole garantire che anche queste persone siano in grado di tutelare la loro salute ricorrendo alle prestazioni sanitarie di cui hanno bisogno.
Quali alternative hanno oggi queste persone?
Poche. Possono indebitarsi, raccogliere i soldi tra tutti i parenti impoverendo tutta la famiglia. Noi vorremmo evitare il ripetersi di questi casi, già troppo numerosi. In futuro, forse, l’aumento dei sistemi assicurativi, dei Fondi integrativi e della copertura sanitaria da parte dei datori di lavoro non renderanno più necessari progetti come Privato Sociale, ma oggi ce ne è bisogno.
E in cosa consiste il vostro progetto?
Ha un unico grande obiettivo: offrire prestazioni sanitarie di qualità a un prezzo che copre solo le spese, quindi sostenibile dalle persone. Tutto questo è stato possibile grazie alla generosa disponibilità del Rome American Hospital, del Centro Diagnostico Pigafetta e di tutti i professionisti che vi lavorano.
Avete ricevuto anche il sostegno dei medici di famiglia.
Sì, e la possibilità di poter contare sulla loro mediazione è un aspetto importantissimo per informare i cittadini sul progetto e quindi facilitarne l’accesso, ma anche per garantire che le domande di prestazione pervenute alla Fondazione siano appropriate. Tra i medici di famiglia e i pazienti c’è un particolare rapporto di fiducia. Un rapporto che definirei affettivo. Conoscono i componenti di ogni famiglia, conoscono la loro storia, la loro situazione e l’eventuale presenza di difficoltà economiche. I medici di famiglia sono i professionisti più adatti a identificare le persone che hanno più bisogno di aiuto e ad indirizzarli verso il
Privato Sociale.
Temete accuse di favoritismi nei confronti del privato?
Sarebbero ingiustificate. Il progetto
Privato Sociale non è in competizione con il servizio pubblico, ma è in suo ausilio perché va ad alleviare le liste d’attesa. Siamo i primi a sperare che il servizio pubblico diventi presto in grado di dare risposte efficienti e immediate alle domande di salute di tutti i cittadini. In quel momento i cittadini non avranno neanche più necessità di andare a cercare soluzioni alternative nel privato. Ma finché questo non avverrà, il progetto
Privato Sociale è tanto importanti per la salute dei cittadini quanto per la sostenibilità del Servizio sanitario nazionale.
Il progetto coinvolge per ora due strutture di Roma. La Fondazione sta valutando la possibilità di allargarlo ad altre Regioni?
Certamente, ad altre Regioni, ad altre strutture e ad altri servizi. Per ora, però, si tratta di un progetto sperimentale ed è quindi giusto che la sua applicazione sia ristretta per permettere un migliore monitoraggio dell’attività. Tra sei mesi e poi tra un anno presenteremo i risultati del progetto e, se saranno positivi, studieremo tutte le opportunità di ampliamento e miglioramento.
04 giugno 2014
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