15 NOV - La gravidanza del mio terzo bimbo aveva un decorso normale; certo avendo due bambini più grandi da gestire il tempo per riposare non era molto, ma non avrei mai pensato di rompere il sacco all’inizio della 32esima settimana. Troppo presto!
In quel venerdì sera era qualche ora che percepivo “movimenti strani” che mi innervosivano e così avevo deciso di andare in ospedale a fare un controllo, tanto per tranquillizzarmi. E invece, dopo pochi passi dal parcheggio per raggiungere il pronto soccorso ostetrico-ginecologico, mi si è rotto il sacco. Inutilmente cercavo di convincermi di stare tranquilla, che ero nel posto giusto per essere aiutata.
Troppo presto, davvero troppo presto il mio bambino aveva deciso di nascere!
Le ostetriche mi hanno accolta con il sorriso, senza creare allarmismo, ma dentro di me sapevo il rischio che correva il mio bimbo. Subito è partita la profilassi per la maturazione dei suoi polmoncini e per i due giorni seguenti tutto doveva rimanere fermo e controllato per dare il tempo di fare effetto…
Sono stati due giorni di ansie e pianti, sensi di colpa per aver fatto non so neanch’io cosa per evitare questo, paura del futuro e delle conseguenze concrete che potevano esserci sul mio piccolo… Ancora adesso a ripensare a quei momenti mi vengono le lacrime agli occhi…
Ma sono stati anche due giorni per prepararmi ad accogliere questa nuova vita e davvero non ero pronta né mentalmente né praticamente (zero valigia per me, zero vestitini e tutto il resto per lui!!).
Il lunedì mattina c’è stata l’induzione del parto che mi ha portata a partorire il mio piccolino, Christian. Ero talmente concentrata ad aiutarlo a nascere bene che non mi sono concessa di sentire il dolore naturale del parto.
Ed ecco quel piccolo pianto che speravo di sentire, ecco la sua testolina che velocemente due mani – a cui tutt’oggi non so ancora quale viso associare – hanno preso e portato via. Ma ero pronta a questo, sapevo di non poter stringere e coccolare subito il mio bimbo che voleva vedere il mondo prima del previsto. Ci hanno lasciato due ore in sala parto, da soli io e mio marito: “Ha pianto tre volte, hai sentito?” mi diceva lui con un sospiro di sollievo… “No, solo una…”.
Volevo solo dormire per staccare il cervello e aspettare il dopo che mi sembrava troppo incerto, ma con un inizio positivo.
Mio marito parlava, parlava, parlava tutto il tempo. Altro modo per scaricare la tensione.
Ma finalmente arriva l’infermiera, mi fa alzare e mi mette su una carrozzina. Andiamo a vedere il piccolo Christian!! Il corridoio mi è sembrato lunghissimo, poi le porte della Patologia Neonatale che si aprono. “Patologia”: mamma mia che brutto nome ho pensato, preferisco chiamarla “neonatologia” e così farò in tutti i giorni successivi.
E così entro in questo mondo a me sconosciuto. Christian era sull’isola riscaldata con la dottoressa De Franco che armeggiava con il suo ombelico per posizionare il catetere ombelicale (COV).
“Non è un bello spettacolo, mi spiace, ma non gli faccio male” ci dice con dolcezza e dal tono della sua voce e da come si muove traspare tutta la sua competenza e professionalità e la cosa ci tranquillizza entrambi. Christian è piccolo piccolo, ma non sembra fragile, anzi il contrario… Ci lasciano ad ammirarlo e ci invitano a toccarlo. La sua pelle è morbida morbida, noi siamo delicati, lo tocchiamo con un dito per paura di fargli male. Guardo l’infermiera che si muove sicura nella stanza tra i macchinari e i registri.
La sua concentrazione e la sicurezza dei suoi movimenti mi danno tranquillità.
Mi devo fidare di tutti questi sconosciuti e il mio cucciolo sarà gestito da loro per le prossime tre settimane, giorno e notte.
La dottoressa De Franco ci rassicura che i primi esami vanno bene, ci spiega i primi interventi che hanno fatto e ci fa firmare tutte le autorizzazioni che servono.
Il primo impatto è positivo: il bimbo respira e gli hanno posizionato il sondino dello stomaco che però non sarà utilizzato.
Nei giorni successivi conosciamo le varie infermiere e pediatre che si succedono nei turni, ma tutti hanno una professionalità unita ad una umanità che ci fa sentire unici.
Davvero si prendevano cura di Christian con amore e passione, ed è questo che rende unico e speciale il lavoro di questi professionisti.
Credo che l’aspetto umano sia la cosa più importante che mi ha dato la forza di andare avanti nonostante la stanchezza fisica e la frustrazione di non potermi occupare completamente di mio figlio. Ma ben presto, le infermiere mi hanno coinvolta sempre di più: ho iniziato a cambiargli il pannolino anche se dentro la culla termica e poi la decisione di farmelo allattare anche se ancora collegato al COV.
Mi sentivo incompetente a gestire un esserino così piccolo, pesava poco più di un chilo e mezzo e con tutti i cavi avevo paura di fargli male. Ma avere di fianco gli operatori che con calma e competenza mi aiutavano a gestirlo, mi ha dato fiducia e pian piano ho recuperato quella sicurezza e quella spontaneità nell’essere mamma.
Mi hanno insegnato il modo corretto di toccarlo, di prenderlo in braccio, di vestirlo…
Un prematuro ha bisogno di molte più attenzioni e soprattutto di contatto fisico. E questo era un bisogno reciproco: entrambi avevamo bisogno di ritrovarci e stare insieme e il nostro momento di scambio di coccole era il momento che preferivo nella giornata e le infermiere ci aiutavano a creare anche spazi di intimità spegnendo le luci e lasciandoci tra noi, visto che avevamo trovato la nostra intesa.
Sono stata lunghe settimane di ricovero, ma non mi sono pesate perché costantemente ero impegnata nella gestione di Christian, nel tirarmi il latte giorno e notte così che lui si alimentasse solo con latte materno. E nell’essere “parte dell’arredamento” – così come mi autodefinivo ironicamente – ho visto tutta la professionalità degli operatori di questo reparto, ognuno con le sue caratteristiche personali, li ho visti scherzare e ridere, ma quando il lavoro chiamava, davvero erano seri e competenti, dando il meglio di sé. Tutti!
Christian era davvero diventato la mascotte del reparto e tutti gli volevano bene, tanto che alle dimissioni diversi operatori sono venuti a salutarci con commozione dichiarando di “adorare il proprio lavoro” ed è davvero questo che ha reso unico il nostro stare in ospedale. A tutti gli operatori del reparto di neonatologia, va il nostro grazie per essere stati così professionali, ma soprattutto umani ed aver gestito Christian come il “mio bambino”, come diceva un’infermiera.