La responsabilità degli operatori sanitari per l’attività vaccinale, a seguito di discutibili iniziative della magistratura penale, ha finalmente riaperto la discussione sulla impellente esigenza di uno scudo penale degli operatori stessi, che va necessariamente esteso ai trattamenti sanitari praticati in epoca Covid.
Come abbiamo già avuto modo di sostenere in precedenza (vedi, da ultimo, in
Quotidiano Sanità, 16 marzo 2021 “
Subito una norma per limitare responsabilità civile e penale di chi fronteggia l’emergenza Covid”) è necessario e urgente, in tale prospettiva, profilare una deroga riguardante l’articolo 590 sexies del Codice Penale.
Per tutti gli eventi avversi occorsi nel contesto e a causa della emergenza COVID, la cui entità sia tale da modificare significativamente le normali condizioni di operatività, la punibilità penale dovrebbe, pertanto, essere limitata ai soli casi di colpa grave, da considerarsi tale unicamente laddove consista nella macroscopica violazione dei principi basilari che regolano la professione sanitaria o dei protocolli o programmi emergenziali predisposti dalle autorità e dagli enti competenti per fronteggiare la situazione in essere, tenuto conto anche della proporzione tra le risorse umane e materiali disponibili e il numero di pazienti su cui è stato necessario intervenire, nonché del carattere eterogeneo della prestazione svolta in emergenza rispetto al livello di esperienza e di specializzazione del singolo professionista. Ci auguriamo si arrivi rapidamente a questo risultato, per restituire ai nostri professionisti, che tanto hanno dato al Paese, la necessaria serenità.
Quello che, tuttavia, stupisce è l’assenza di un dibattito politico, fatte salve poche eccezioni, sull’altro aspetto che, se non rivisitato con altrettanto tempestività e urgenza, inciderà pesantemente e incontrollabilmente sulla gestione sanitaria e giudiziaria, vale a dire quello della responsabilità civile, oggi quasi integralmente a carico delle strutture nella severa forma della responsabilità contrattuale.
E’ inspiegabile come i maggiori attori della sanità italiana bypassino l’argomento, e, quindi, verosimilmente accettino l’idea che tutto rimanga come ora, senza, quanto meno, tematizzare e ponderare la incombente minaccia agli equilibri del Sistema sanitario, in termini di complessiva sostenibilità, rappresentata dall’impatto, inesorabilmente devastante, di istanze risarcitorie non certamente gestibili con le attuali “ordinarie” regole civilistiche. In tal senso anche dette regole, lungi dall’essere rimosse, devono, essere adeguate in coerenza con la imponenza ed eccezionalità della emergenza.
Peraltro, è da sottolineare che il ricorso a richieste di responsabilità civile prescinde totalmente dalle denunce penali. Pertanto, il sistema di responsabilità civile, a carico delle strutture e dei professionisti, potrebbe giovarsi solo marginalmente di uno scudo penale - si ripete, doveroso e auspicabile - a favore dei professionisti.
Potrebbe accadere (anzi sono certa che accadrà) che, a fronte degli effetti dannosi della pandemia, di portata smisurata ed eccezionale, le strutture, a prescindere dalla chiamata in causa penale dei professionisti, siano chiamate ad erogare risarcimenti, anche in presenza di colpa lieve, nonostante le stesse strutture si siano trovate, così come gli operatori, ad affrontare una situazione ignota, eccezionale e di enorme complessità.
L’entità delle richieste risarcitorie potrebbe essere abnorme, con estrema difficoltà delle strutture a difendersi, visto che, rispondendo, allo stato, a titolo di ordinaria responsabilità contrattuale, devono dimostrare di aver fatto tutto il possibile (in gergo tecnico, tale onere è definito, non a caso, come “probatio diabolica”), alle prese con una malattia rispetto alla quale, ancora oggi, non conosciamo quale sia, in realtà, “tutto il possibile da fare”. Si evidenzia, ancora una volta, che i risarcimenti sono, comunque, a carico del Fondo Sanitario Nazionale, ovvero dello stesso fondo destinato alle cure.
D’altra parte, è sacrosanto che il cittadino danneggiato a seguito di comportamenti gravemente colposi sia ristorato.
Quale strada, dunque, chiediamo al mondo politico? Una strada di responsabilità civica, per evitare che, senza una ponderata e consapevole valutazione prospettica, con una mano si diano risarcimenti e con l’altra si sottraggano quelle stesse risorse alle cure, in assenza di adeguate e responsabili contromisure.
A irrinunciabile immediata tutela dell’utente a fronte dei danni subiti in esito a percorsi assistenziali comunque alterati e condizionati dalla eccezionalità dell’evento pandemico e, allo stesso tempo, a garanzia della complessiva sostenibilità e tenuta del SSN - a futura tutela, quindi, dello stesso utente, - occorre forse orientarsi, nell’immediato, verso un sistema “no fault”, come invocato ormai da autorevoli giuristi.
Tale sistema, con ristoro di tipo indennitario, sarebbe il più appropriato per un evento pandemico e già percorso nel nostro ordinamento per le infezioni da sangue infetto e per i danni vaccinali. Si tratterebbe di una strada che esalta il valore della solidarietà sociale e l’importanza di una rinnovata alleanza tra paziente e SSN, insita nella mediazione tra il fondamentale interesse all’adeguato ristoro delle vittime e quello, altrettanto fondamentale, di mantenere vivo e solido il Servizio Sanitario Nazionale, impedendone, a legislazione vigente, il sicuro default.
Su questo fronte sarebbe opportuna anche una sinergia a livello europeo, già invocata da qualche parte politica, che consentirebbe una politica di solidarietà estesa e condivisa con il perimetro europeo di diffusione della pandemia.
Chiediamo, quindi, al Governo di mettersi al lavoro per la costituzione di un Fondo europeo che, in alternativa alle ipotesi risarcitorie, per colpe gravi in epoca di pandemia, assicuri il giusto indennizzo a chi abbia subito ingiustificati danni.
Quello che certamente questo Paese non può, comunque, permettersi è di “rimuovere” e non affrontare il problema - perché, magari, nel breve periodo, politicamente “scomodo” - lasciando il S.S.N. e, in prospettiva, lo stesso sistema giudiziario in balia di conflitti che avveleneranno i prossimi anni, proprio nel momento in cui dovremo concentrarci sulla ricostruzione.
Tiziana Frittelli
Presidente di Federsanità