Volevano la rivoluzione, ma facendo le barricate coi mobili degli altri. “Recupereremo tutti i miliardi tagliati negli anni passati!”, “elimineremo le liste d’attesa!”. Ma poi dei 37 miliardi della legge di bilancio più espansiva del secolo, al già asfittico FSN 2019 ne arriva solo uno, 1/37mo, pure già previsto da prima. E spiccioli, 150 mln, per le liste d’attesa.
Dovrebbe invece aumentare almeno del 4%-5% l’anno (4-5 mld), per fisiologiche domanda crescente (demografia) e offerta migliorata (innovazione). Over 80 che sono ormai più dei neonati (i pannoloni hanno sorpassato i pannolini), biogenomica da fantascienza e ultratecnologie come quelle del Dr. McCoy.
Tale insufficienza del FSN, data l’incomprimibilità della domanda, sposta la spesa sul privato. Un dato-sineddoche è che ormai quasi la metà delle visite specialistiche (esclusa l’odontoiatria) ce le paghiamo privatamente, 5,4 mld (1 d’intramoenia). Più 1,7 per la diagnostica e 1,4 di servizi paramedici (dati ISTAT, Corte dei Conti, Ag. delle Entrate)
Certo in queste cifre c’è anche il filling alle labbra della signora della Collina Fleming o il botulino alla bidella del giambellino, ovvero prestazioni puramente integrative. Ma il grosso resta sostitutivo di prestazioni previste dal SSN ma dalle liste d’attesa bibliche. Perciò ora si vuole risolvere con 150 mln di spesa pubblica in più un problema che genera qualche miliardo di spesa privata. Ambiziosa ignoranza in buona fede o demagogia in cattiva?
In alcune regioni la spesa privata ormai arriva quasi al 40% di quella SSN. Ci vuole un certo pelo sullo stomaco a chiamarlo ancora sistema pubblico equo ed universalistico, come l’hanno pomposamente festeggiato per il suo quarantennale elevandone peana ex Ministri(e), sedicenti esperti, vecchi soloni e parvenu. Più rispettoso un commosso “de profundis”
Allora via libera a mutue e assicurazioni, già il 10% della spesa privata, 3,5 miliardi (il grosso è out-of-pocket). Coi loro sfegatati ultras dall’esegesi sperticata degli incommensurabili vantaggi da esse derivanti per l’intera galassia, come quell’oste di Proust che magnificava il proprio vino quale panacea dei mali del mondo. Di sicuro dei suoi libri contabili.
E cresce pure quel furbo equivoco semantico battezzato “welfare aziendale” (costi aggiuntivi sottratti alla remunerazione del dipendente, scaricati sul prezzo dei beni o servizi prodotti dall’azienda, usufruito da pochi ma pagato per un terzo dalla collettività data la detraibilità fiscale, dal fisiologico carattere iniquamente anti redistributivo)
Sanità “free” e “pay”, insomma, come la TV, non a caso negli ultimi trent’anni nutrice primaria di italiche coscienze e incoscienze. Ognun per sé e si salvi chi può. Specchio dei tempi, nel Paese degli Italiani brava gente, oggi col vaffa espresso ed il rancore digrignato, in fondo lo stesso Paese che ha inventato l’olio di ricino e l’orbace.
Legge di bilancio in deficit, dicevamo, eppure assai stitica col SSN, ma che va invece tutta verso reddito di cittadinanza e pensioni. Innescheranno i fatidici moltiplicatori keynesiani di sviluppo e crescita? Speriamo di sì. E che non finiscano invece in slot e scommesse. O per comprarsi la pistola per difendersi da negri e zingari slavi.
Di sicuro serviranno a pagarsi privatamente quelle visite e analisi “complicate” da un SSN insufficiente. Quanti dei quasi 9 mld della legge di bilancio per le pensioni (2 per quelle di “cittadinanza” e 6,7 per le “quota 100”) diventeranno spesa sanitaria privata? Un curioso flusso di trasferimento finanziario di risorse pubbliche al privato.
Così la legge di bilancio stitica di risorse per la sanità pubblica finisce col finanziare indirettamente quella privata. Già, le rivoluzioni. Cominciano per strada per finire a tavola. Coi soliti commensali. Altro che cambiamento.
Prof. Fabrizio Gianfrate
Economia Sanitaria