L’elenco delle critiche che l’industria farmaceutica – sia nazionale che estera – riserva all’attuale corpus normativo del settore è davvero lungo. A stilarlo ci ha pensato I-Com, Istituto per la competitività realizzando uno studio sull’impatto che le disposizioni regolatorie in materia di farmaci hanno sui processi produttivi, i cui risultati sono stati illustrati oggi a Roma dinanzi a una platea di economisti, esperti e rappresentanti del mondo industriale e politico. Il primo dato eclatante è quello riferito alle procedure per l’autorizzazione all’immissione in commercio dei farmaci che per l’89% del campione (si tratta 37 aziende sulle 200 totali che operano nel nostro Paese) risultano essere le più “gravose” sul piano della crescita degli oneri. Sui quali pesa oltremodo anche la normativa regionale: un vero e proprio “contesto regolatorio parallelo a quello nazionale”, considerato negativamente dall’84% delle aziende che hanno partecipato all’indagine. Ma non basta. Giudizi negativi – a volte anche estremamente negativi – ci sono stati anche per il rapporto tra aziende e istituzioni. In questo senso i risultati dell’indagine parlano chiaro: a soffrirne di più sono le aziende farmaceutiche estere che, come ha sottolineato
Davide Integlia, direttore dell’Area Innovazione di I-Com, finiscono con l’investire di meno o, addirittura, col non programmare investimenti in Italia.
Già, perché il problema non è soltanto una questione di rapporti ma soprattutto di possibilità di programmazione; quella di lungo periodo allo stato attuale delle cose nel nostro Paese è praticamente impossibile. Lo dimostrano anche le recenti misure adottate nella manovra di contenimento del debito pubblico che ha riservato una sorpresa amara per il comparto industriale del farmaco che si troverà a dover contribuire – e sarà inevitabile – a coprire parte (ma quanto esattamente?) del disavanzo per la spesa ospedaliera il cui tetto è da tempo considerato unanimemente sottostimato.
È una situazione difficile dalla quale però si potrebbe uscire. La prima e più importante misura da adottare – e senza costi particolari per lo Stato – sarebbe quella di “avviare un processo di semplificazione” rendendo più veloci e più chiare tutte le procedure, “creare soggetti e luoghi –uno “sportello” –per favorire l’interlocuzione tra aziende e istituzioni nazionali e regionali e, infine, introducendo meccanismi di valutazione dell’impatto delle misure.
Un obiettivo questo al quale tende l’Unione Europea, nel tentativo di recuperare il gap creatosi con i tradizionali competitor mondiali, Usa e Giappone. Ne ha parlato
Andrea Renda, docente di Analisi economica del diritto della Luiss, ricordando anche come in ambito comunitario si stiano studiando meccanismi di misurazione degli oneri amministrativi per cercare di raggiungere una “Better Regulation” capace di incidere efficacemente sui costi amministrativi dell’intero comparto industriale della Ue. A questo però è necessario anche aggiungere un forte sostegno all’innovazione: la sua mancanza renderebbe inutile qualsiasi altro tipo di intervento.
In questo senso anche l’Agenzia europea dei medicinali, l’Ema, rappresentata per l’occasione da
Vincenzo Salvatore, direttore degli Affari legali della stessa Agenzia, è chiamata a svolgere un compito importante. Quello di “strumento intermedio di governo” all’interno dei quali i singoli Stati possono confrontare le rispettive regolamentazioni del settore.
Si tratta di obiettivi “virtuosi” che mirano a ridurre al minimo l’impatto delle misure regolatorie. Cosa che, in Italia, almeno al momento, non avviene affatto: lo ha rilevato
Lorenzo Mantovani, docente di Farmacoeconomia dell’Università Federico II di Napoli, sottolineando come alle norme di livello nazionale vengano ad aggiungersi quelle – spesso ridondanti – di livello regionale. Un modello normativo inefficiente, costoso e che, tra l’altro, rischia di lasciare i cittadini privi di cure adeguate: la presenza di Prontuari terapeutici ospedalieri regionali, ha affermato Mantovani “produce ritardi nell’accesso ai farmaci che, in media, toccano i 7 mesi dal momento dell’approvazione da parte dell’Aifa”.
I “mali” del sistema non si fermano qui. Lo ha sottolineato
Teresa Petrangolini, segretario nazionale di Cittadinanzattiva, osservando come spesso il cittadino sia tenuto al di fuori da decisioni che invece lo riguardano assai da vicino. “una migliore regolamentazione del settore farmaceutico – ha affermato – non dovrebbe rinunciare a una presenza del cittadino come attore. Percorsi che mirano a facilitare il dialogo con le organizzazioni di cittadini e pazienti esistono, quindi vanno incentivati e allargati. Così come vanno seguiti gli esempi “virtuosi” che vengono da altre realtà nazionali. Sarebbe importante che nel nostro Paese si aprissero spazi di comunicazione e interlocuzione tra l’amministrazione e il cittadino: in un’epoca di scarsità di risorse – ha concluso – la partecipazione civica non è più un lusso”.
L’industria, dal canto suo, non ha mancato di ribadire l’importanza delle rilevazioni dell’indagine I-Com. Lo ha fatto
Silvio Gherardi, presidente del Gruppo Emoderivati di Farmindustria e amministratore delegato della Baxter Italia, ricordando come “i limiti derivanti da un eccesso di burocrazia a livello nazionale e regionale, frenano lo sviluppo di una sana concorrenza. E anche per questo la farmaceutica, settore ad alto valore aggiunto tecnologico e scientifico, dovrebbe poter contare su un sistema normativo simile a quello di altri pur importanti comparti industriali quali quello manifatturiero o quello chimico”. “Puntare a una “Better Regulation” è essenziale per promuovere il processo virtuoso dell’innovazione “ ha aggiunto
Alessandro Sidoli, presidente di Assobiotec, l’Associazione nazionale delle biotecnologie. “Un processo che può essere avviato agendo su due leve principali: quella dei finanziamenti alla ricerca e quello della tutela dei prodotti innovativi”.
Anche il mondo politico ha avuto modo di dire la sua. Lo ha fatto il senatore
Ignazio Marino, presidente della Commissione d’inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del Ssn, tornando sul problema delle differenze normative tra le Regioni italiane. “Le grandi divisioni territoriali nel settore farmaceutico tra una Regione e l’altra, rendono improbabile attuare un federalismo sanitario efficace. Gli stessi Prontuari terapeutici regionali hanno perso di vista il loro obiettivo di consentire l’accesso del cittadino alle terapie migliori e rispondono solo al principio della limitazione della spesa. Questo sistema rischia di porci al di fuori del contesto sanitario internazionale, quindi occorre insistere per far sì che le necessità di controllo della spesa non inficino la qualità delle cure. Per farlo – ha concluso Marino – sarebbe importante poter disporre di figure professionali quali quella del farmacologo clinico incaricato di verificare l’appropriatezza delle cure in ciascun Ospedale, così come introdurre nei nosocomi sistemi elettronici di erogazione dei farmaci per fornire al paziente la singola dose di farmaco necessaria, garantendo sia la qualità dell’assistenza sia un controllo reale dei costi”. Gli ha fatto eco il suo collega
Alfonso Mascitelli, vicepresidente della stessa Commissione del Senato, ricordando come la manovra economica recente approvata in Parlamento, contenga una norma sulla riorganizzazione dell’Agenzia italiana del farmaco – in particolare della Commissione tecnico-scientifica e del Comitato prezzi e rimborsi – che punta a una migliore e diversa gestione dell’attività regolatorio dell’Agenzia.