In genere ci lamentiamo dell’economicismo cioè di una discutibile concezione dell’economia nella quale qualsiasi complessità sanitaria scompare e tutto si riduce a tetto, costo standard, posti letto, blocchi ecc.. Come non sorprenderci quando avviene il contrario cioè quando dall’economicismo si ritorna alla complessità dei fenomeni e soprattutto... udite udite... quando l’antieconomicismo viene da quella istituzione che dovrebbe essere per definizione la più economicista di tutti vale a dire la Corte dei Conti.
Eppure è proprio così.. nella sua “
memoria” sulla sanità, curata con grande capacità diagnostica dal viceprocuratore generale dott.
Roberto Benedetti, (al quale vanno i miei complimenti), i numeri ritornano ad essere fenomeni. La Corte dei Conti parla di
“sanità malata”, di “
sostenibilità a rischio”, di “
inaccettabili liste di attesa”, di allarme sociale per il “
protrarsi del blocco dei contratti e del turn over”, di stili di vita sobri per risparmiare in salute, e insiste a segnalare alla politica il “
nodo della riqualificazione della spesa da depurare.. da fenomeni di mala gestio e da sprechi”. In sostanza sono i “
contabili” dello Stato che ci dicono che se i risultati contabili sono “
più che accettabili”, il sistema nel suo complesso fa acqua da tutte le parti( “
appaiono ancora latitare interventi significativi per le varie criticità sostanziali che affliggono da tempo il nostro sistema sanitario”). E’ la Corte dei Conti che pone alla politica un problema fondamentali di antieconomicismo: “
contemperare” le esigenze contabili con “
un effettivo e generalizzato diritto alla salute”
Di contro all’antieconomicismo della Corte dei Conti sorprende e perplime l’economicismo del Patto per la Salute, cioè di coloro che dovrebbero, con accorte politiche sanitarie, contemperare i diritti con le risorse. Con questo patto finanziario siamo all’ennesima “
copula” (la quinta in 14 anni, vedere a questo proposito
QS del 18 giugno) tra governo e regioni che al di là delle chiacchiere e delle questioni di contorno, ruota su cinque perni quelli che fin dal primo Patto del 2000 non sono mai cambiati:
· Determinazione del fabbisogno
· Piani di rientro
· Riconversione ospedale/territorio
· Lea
· Edilizia sanitaria (art 20l. n. 67/1988)
L’obiettivo primario del Patto, ci ricorda la ministra
Beatrice Lorenzin in
audizione al Senato, resta quello di
“realizzare una sanità sostenibile nel segno dell’appropriatezza” un’idea, ci consenta la giovane ministra, che di giovane non ha proprio niente dal momento che essa nasce in ben altri tempi e in ben altri contesti (1999 riforma Bindi, cioè prima dei tagli lineari, della spending review, dei blocchi e dei piani di rientro) cioè quando si credeva che la razionalizzazione bastasse a risolvere tutti i mali possibili.
L’appropriatezza della ministra, mi ricorda le pillole di antimonio (un metallo che a contatto con la mucosa intestinale ha effetti irritanti) che come racconta Huxley, (I diavoli di Loudun 1952)View shared postnel 600 le famiglie usavano per via orale come lassativo, ovviamente accuratamente lavate dopo ogni defecazione e lasciate in eredità alle generazioni future che a loro volta se ne servivano seguendo una precisa procedura scatologica, (la scatologia si occupa dei rituali che si accompagnano alla deiezione degli escrementi da non confondere con escatologia che diversamente si occupa del destino umano).
L’appropriatezza, come le pillole di antimonio, è una politica, perdonatemi l’espressione scatologica ,
“cagata e ricagata” e che probabilmente proprio in ragione della sua invariante continuità, almeno, a giudicare da quello che dice oggi la Corte dei Conti, si è rivelata inadeguata a risolvere il problema di “
stitichezza finanziaria” del nostro tempo producendo nuove emergenze sociali fino a far “
ammalare” di più la nostra sanità.
In fin dei conti la Corte dei Conti oggi ci sta dicendo che ben 4 Patti per la Salute tutti rigorosamente ispirati alla politica dell’appropriatezza non sono riusciti a “
contemperare” il diritto con i limiti economici scaricando tutte le contraddizioni sui cittadini, sugli operatori, sui servizi...cioè a discapito dei diritti, della giustizia, e dell’eguaglianza. Se questo è vero, come sembra, allora si può dire che le pillole di antimonio, cioè l’appropriatezza, non hanno funzionato.
La questione politicamente è rilevante perché oggi il Patto per la Salute per la quinta volta ricorre inesausto alle pillole di antimonio evidentemente incurante degli effetti indesiderati che esse provocano soprattutto sui diritti delle persone. Cioè per il Patto, alla salute, la Corte dei Conti non conta.
Non nascondo di sentirmi un po’ “
imbarazzato” da questa situazione per cui propongo tre cose semplici:
· assuma il “
Patto per la Salute” la “
memoria” della Corte dei Conti quale premessa per le sue politiche future;
· smettiamola una buona volta con questa litania dell’appropriatezza (cara Ministra con la decapitalizzazione del lavoro che sta devastando i servizi ma di quale appropriatezza parla?);
· e soprattutto, cambiamo purgante, perché come dice la Corte dei Conti si tratta di “
depurare” il sistema della spesa .. “
da fenomeni di mala gestio e da sprechi”.
E’ la vostra “
mala gestio” care Regioni il vero problema della sanità e non sarete certamente voi con i vostri Patti per la Salute a risolverlo e meno che mai ad ammetterlo.
Da ultimo un pensiero per il mio amico
Costantino Troise di cui apprezzo e non da ora la lucidità e l’onestà dell’analisi e l’ostinazione nella battaglia (consiglio di leggere la
sua relazione al recente congresso Anaao e il
documento conclusivo). Lui non riesce a darsi pace del fatto che si possa fare un Patto tra Regioni e Governo sulla sanità escludendo il mondo del lavoro. Caro Costantino hai ragione ma dimentichi che tanto nelle “
copule” che nelle “
sedute”
“tertium non datur” che vuol dire, giocando con le parole, che il terzo incomodo non è ammesso. Oggi il lavoro professionale che è il vero capitale della sanità , è “
il terzo incomodo”, mi chiedo a questo punto caro Costantino, cosa aspettiamo a “
disobbedire” e a organizzarci di conseguenza. Cioè cosa aspettiamo a passare dalla scatologia alla escatologia?
Ivan Cavicchi