L’immagine del “Letta dormiente” fotografata dal
Financial times è lo specchio dell’Italia. Una politica assopita che non sceglie, che rimanda ogni decisione, mentre il paese scivola nel baratro, in una apocalisse senza escathon. La cifra dell’Italia è dunque questa volontà di lasciare che le cose avvengano per inerzia, senza assumersene le responsabilità e limitandosi a riversare la colpa sugli altri che ci impongono sacrifici per puro egoismo o interesse di parte.
Questo modo sbagliato di approcciare i problemi, che ci impedisce financo di intravedere una seppur lontana via di uscita dalla crisi, ha ormai una declinazione universale; e in una sorta “legge dei gravi” dei comportamenti scivola verso il basso dal governo centrale alle regioni, come dimostra il caso del Lazio, con la decisione assunta del taglio delle unità operative complesse e semplici al di fuori di qualsiasi atto di programmazione sanitaria
La vicenda è nota. La regione Lazio è in default: finanziario, sanitario e ( fino a pochi mesi orsono) politico. Il Servizio Sanitario regionale è ineffciente, ha sperperato immani risorse per corruttela e incapacità gestionale ed è totalmente disorganizzato con ampie e intollerabili differenze tra le diverse provincie e tra i diversi territori cittadini.
La riforma della giunta Polverini non ha risolto nessuno dei problemi, limitandosi a chiudere 22 ospedali senza trasformarli in nulla che potesse essere effettivamente utile per i territori. Le reti cliniche languono, le cure primarie sono una pura espressione verbale e le alte specialità sono in numero eccessivo e scarsamente performanti per la totale mancanza di programmazione e di logiche di scala nella loro allocazione .
Eppure per la regione non è l’anno zero. Nel giro di pochi mesi si sono succeduti due commissari governativi illustri. E se al primo, Bondi, poteva essere addebitata l’inesperienza nel campo sanitario, questa accusa non valeva certo per il secondo, Palumbo, che alla programmazione sanitaria ha dedicato l’intera sua vita.
Sono stati, dunque, elaborati due piani di riordino a cui ha dato un contributo sostanziale l’Agenas e il servizio sanitario è stato scotomizzato, scomposto e riassemblato in ogni suo aspetto.
Infine il Piano è stato consegnato al Presidente Zingaretti perché lo condividesse, lo integrasse e quant’altro ma alla fine ne desse attuazione, anche alla luce dei rilievi mossi dal Comitato per la verifica del Piano di rientro. Questo dunque il Presidente Zingaretti avrebbe dovuto fare e questo ci saremmo aspettati da lui: l’assunzione di decisioni anche dure per il nostro SSR ma indispensabili per ridefinire in modo organico il modello organizzativo; un percorso di aperto coinvolgimento dei diversi attori interessati (sindacati , categorie, utenti) di reingegnerizzazione dei servizi alla luce del sole e in cui la riduzione delle Unità operative complesse e semplici fosse una semplice subordinata conseguente a un grande processo di riforma. E invece no! Al progetto di riordino complessivo del sistema si è sostituito il taglio brutale di Unità operative che sarà lasciato alla totale arbitrarietà dei singoli Direttori generali.
Direttori Generali a cui, è bene ricordarlo, non compete la programmazione regionale ma la gestione dei territori loro affidati e che quindi opereranno le loro scelte su quali UOC dimettere e quali conservare, sulla base di criteri e giudizi inevitabilmente soggettivi e quindi parziali. Con un ulteriore aggravante che essendo stati i Direttori Generali nominati dalla precedente amministrazione essi saranno inevitabilmente tentati di essere più realisti del re nel compiacere chi dovrà rinnovare loro l’incarico. La scelta che la regione ha compiuto delegando agli altri il triste compito di scontentare la categoria con tagli pesanti e non certi indolori, è simile al gesto di colui che lancia il sasso e nasconde la mano.
Facendo così si perde il senso della necessità, si rinuncia a programmare le UOC in base alle reali necessità assistenziali della regione (tagliando i rami secchi e i duplicati, ma implementando le strutture carenti) e si lasciano i professionisti che da tali misure verranno danneggiati nel sospetto che la scelta sia stata dettata da motivi personali e non di merito.
Un inizio di legislatura dunque non certo incoraggiante, che non può essere giustificato dalla urgenza di intervenire, e che quindi non lascia intravedere quella discontinuità di cui la regione ha bisogno per uscire dalla crisi.
Roberto Polillo