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QS Edizioni - sabato 23 novembre 2024

Studi e Analisi

Pnrr. La vera sfida del territorio è curare il paziente a casa

di Lucia Conti
immagine 1 aprile - Quando si parla di Pnrr, si pensa anzitutto a Case di Comunità e Ospedali di Comunità. Ma queste sono “solo” le due principali novità strutturali, mentre il fulcro della riforma del territorio sarà soprattutto di tipo organizzativo, e l’assistenza domiciliare la sfida più ambiziosa. Un ambito su cui giocherà un forte ruolo anche la partnership pubblico/privato. Se ne è parlato nell’ultima puntata di SaniTask con D’Amore (Fiaso), Lanzetta (Anmdo), Mennini (Sihta), Da Col (Card), Magnocavallo (Fnopi) e Murzi (Alfasigma).
Continuano i lavori per la realizzazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Poste le basi, l’obiettivo ora è aggiustare il tiro rispetto alle carenze del sistema ma e anche rispetto le zone d’ombra emerse dallo stesso Piano, a cominciare dall’assunzione di nuovo personale. Perché è impensabile, concordano gli stakeholder, riuscire a realizzare la “sanità del futuro”, anche attraverso nuovi servizi sul territorio, senza mettere in campo le risorse umane necessarie (in un sistema in cui gli organici sono peraltro già fortemente carenti. Basti pensare che, parlando solo di infermieri, ne mancherebbero all’appello almeno 60.000 infermieri per gli standard italiani e ne servirebbero altri 140.000 per arrivare agli standard europei).

Questo è uno degli aspetti su cui si auspica un intervento nel DM71, all’esame della conferenza Stato-Regioni. Anche perché il personale è il presupposto per far funzionare la macchina, anche se non l’unico elemento chiave. Uno degli obiettivi del Pnrr, infatti, è la cura di prossimità. Tuttavia il Pnrr non sembra mettere in campo molte risorse per raggiungere questo obiettivo. Il Pnrr, infatti, prevedere un costo medio per ogni singolo utente delle cure domiciliari identico a quello attuale, cioè circa mille 983 euro annui medi a persona. Risorse che attualmente consentono di erogare ad ogni anziano solo 18 ore all’anno di assistenza domiciliare. Difficile, dunque, immaginare un vero potenziamento di questa forma di assistenza a meno di non aprirsi ad altri interventi, più di carattere sociale come il co-housing o di partnership pubblico-privato.
 
Di tutti questi aspetti si è parlato all’ultimo appuntamento di SaniTask, l’iniziativa editoriale di Sics sostenuta incondizionatamente da Alfasigma, promossa allo scopo di approfondire i temi più importanti che interessano il management sanitario a tutti i livelli.
 
Ospiti della puntata, condotta da Corrado De Rossi Re, sono stati Antonio D’Amore, vicepresidente Fiaso e direttore generale Asl Napoli 2 Nord; Rosario Lanzetta, direttivo nazionale Anmdo e direttore sanitario Aorn San Giuseppe Moscati di Avellino; Francesco Saverio Mennini, presidente Sihta (Società Italiana di Health Technology Assessment e direttore EEHTA del Ceis, Facoltà di Economia dell’Università di Roma “Tor Vergata”, Paolo Da Col, responsabile Centro Studi Cure Domiciliari della Card Nazionale; Mariacristina Magnocavallo, Comitato Centrale Fnopi; e Jacopo Murzi, General Manager Business Unit Italia di Alfasigma.

 
 
Il confronto ha preso il via proprio intorno al tema della carenza di personale, in merito al quale Francesco Saverio Mennini ha evidenziato come il problema vada ben oltre la necessità di “forza lavoro”. “Il pensionamento del personale esperto, senza l’arrivo di giovani professionisti, significa disperdere sapere e competenze che l’esperto ha acquisito negli anni e che, senza un adeguato turn over, non può trasmettere alle giovani leve”.
Per Mennini sulla carenza di personale è mancato un impegno vero da parte del governo centrale. Anche nel Pnrr, per l’assistenza territoriale e domiciliare “sono stati messi in campo risorse pari a oltre i 7 miliardi di euro, ma senza una reale programmazione sul personale, che sia coerente con il fabbisogno richiesto dal nuovo modello di assistenza che si intende realizzare”.

Rosario Lanzetta ha confermato come sul fronte ospedaliero le dinamiche del personale abbiano rappresentato un problema, a cui nel frattempo si sono sommate le criticità del sistema, “tanto che anche dopo lo sblocco del turn over, abbiamo registrato difficoltà a reclutare dirigenti medici con i concorsi, soprattutto per alcune specialità”. Un passo avanti è stato fatto, secondo Lanzetta, con la laurea abilitante e la possibilità di reclutare gli specializzandi, “ma sul tema risorse umane e qualità delle risorse occorre una riflessione più ampia e approfondita”.
 
Le aspettative del membro del Direttivo dell’Associazione Nazionale Medici Direzioni Ospedaliere vanno comunque oltre il reclutamento di personale. “Vogliamo ospedali sicuri e flessibili, tecnologici e connessi ai vari contesti. Il rapporto con strutture territoriali è evidentemente fondamentale, ad esempio per rendere concreti i Protocolli diagnostico terapeutici assistenziali, che senza il territorio restano monchi. Anche il rapporto con la Centrale operativa territoriale sarà essenziale per una corretta ed efficiente gestione delle risorse e per mantenere standard elevati di assistenza”. Non occorre dimenticare d’altra parte, per Lanzetta, che “se il modello non funziona, si crea inappropriatezza. E l’inappropriatezza ha un costo che oggettivamente non è più giustificabile”.

Il membro del direttivo Amndo ha poi accennato a come il Covid abbia spinto verso forme di assistenza che poggiano sulla tecnologia: telemedicina, teleconsulto, televisita e telemonitoraggio che consentono al paziente di ricevere assistenza direttamente a casa propria. “L’auspicio è che tutto questo sia implementato e su tutto il territorio nazionale, in modo omogeneo”, ha concluso.
Insomma, di dubbi irrisolti, per gli stakeholder, ce ne sono ancora molti. Per questo “bisognerebbe iniziare parlare molto più di contenuti, oltre che di contenitori”, ha detto Antonio D’Amore, che non ha voluto ignorare i passi avanti compiuti anche, ad esempio, con la stabilizzazione degli operatori assunti per l’emergenza Covid. “Persone che hanno fatto un lavoro straordinario, in condizioni davvero difficili, con turni massacranti”.

Per il vicepresidente Fiaso e direttore generale Asl Napoli 2 Nord bisogna però spingersi oltre l’emergenza e pensare a come risolvere le criticità. "Perché se è vero che sul DM 71 c’è l'accordo Stato-Regioni, è altrettanto vero che il Mef ha ribadito il tetto del personale dell’1,4% sul 2004 per i fabbisogni delle aziende”. D’Amore ha inoltre ricordato come quelli del Pnrr siano soldi che andranno in buona parte restituiti. Dunque “non possiamo solo pensare a spenderli: dobbiamo lavorare a un sistema in grado di essere sostenibile nel tempo”. Le premesse non sembrano buone se è vero, come ha detto il vicepresidente FIaso, che “per la realizzazione e la ristrutturazione degli ospedali di comunità e delle case di comunità abbiamo già uno scoperto di circa il 30% delle spesse. Il conflitto bellico tra Russia e Ucraina renderà inoltre maggiore il costo della materie prime, rendendo la copertura delle spese ancora più difficile”.
 
Per il vicepresidente Fiaso, lavorare a un sistema sostenibile, che garantisca salute e appropriatezza, significa anche aprirsi a una nuova e più stretta partnership con il privato, “perché è evidente che il sistema pubblico da solo non sarà mai in grado di dare alla domanda di salute. Privato, per D’Amore, non vuole dire solo cooperative, ma anche aziende farmaceutiche. “Pensiamo già quanto sia stato importante il loro contributo per l’implementazione dei software per l’assistenza da remoto durante la pandemia”.

Il vicepresidente Fiaso e Francesco Saverio Mennini hanno però richiamato all’importanza che il contributo del privato avvenga entro i criteri e i tetti stabiliti per legge. “Se si rispetta questa condizione, il contributo del privato non può che portare benefici”, ha detto Mennini. Evidenziando come, “del resto, in più di un'occasione è stato evidente come la collaborazione con il privato abbia consentito al sistema pubblico un uso razionale delle risorse e al cittadino l’accesso rapido ai trattamenti più efficaci”.

Per Paolo Da Col, forse c’è bisogno di qualche aggiustamento, ma le condizioni per un salto di qualità sul territorio ci sono: “Le home care team e le Usca che abbiamo imparato a conoscere con la pandemia sono la manifestazione di una idea che nasce ben oltre 10 anni fa”. Il responsabile del Centro Studi Cure Domiciliari della Card ha infatti citato un progettato della stessa Card che prevedeva, per ciascuno dei 600 distretti italiani, un team di 60 operatori rappresentativi di tutte le professioni dei servizi erogati o erogabili sul territorio. “Un progetto che ora potremmo riprendere coinvolgendo i medici che hanno fatto parte delle Usca”, ha detto De Col evidenziando come il progetto vada anche integrato con “le opportunità tecnologiche che 5 o 6 anni fa non esistevano”. Un modello che per Da Col potrebbe essere dedicato anzitutto alle cronicità, "ma il Covid ci ha insegnato che a casa del paziente è possibile offrire anche cure di alto livello per le fasi acute”, ha precisato.

Anche il responsabile del Centro Studi Cure Domiciliari della Card ha richiamato alla necessità di una sanità più omogenea in tutte le pare del paese. “Va poi definitivamente chiusa la stagione dei silos. Non devono esserci progetti per i medici o progetti per gli infermieri. Il progetto unico è quello dell’assistenza al paziente, alla cui realizzazione concorrono tutti professionisti, ciascuno per il proprio ruolo”. Per Da Col questo sistema può funzionare solo se c’è una regia forte, che sul territorio spetta al Distretto. ”Credo che, in Italia, ci sia ancora scarsa convinzione del valore delle cure domiciliari e del ruolo del Distretto. Tuttavia sono anche certo che questo ruolo di regia non possa essere ricoperto da altri se non dal Distretto”.
In questo contesto, per il responsabile del Centro Studi Cure Domiciliari della Card, può trovare certamente spazio una collaborazione con il privato, che “è certamente insostituibile quando si parla di introdurre nuove tecnologie e servizi di telemedicina”.

Concorda sulla necessità di approfondimenti Mariacristina Magnocavallo. “I servizi vanno definiti in base ai bisogni e alla stratificazione della popolazione, tenuto conto delle differenze che emergono nei diversi contesti territoriali e che possono variare anche da Regione a Regione”. Una volta chiarito il quadro, per la componente del Comitato Centrale della Fnopi “è indispensabile programmare una formazione specifica. Questo dovrebbe essere una priorità delle Regioni perché il ruolo dell’infermiere del team Adi-assistenza domiciliare integrata, ad esempio, è molto diverso da quello dell'infermiere di famiglia e di comunità. Sono entrambi ruoli professionali, ma con percorsi e competenze diverse e complementari”.
 
Magnocavallo è convinta che il contributo che possono dare gli infermieri di comunità e di famiglia sia “molto importante” anche se “non può rappresentare la panacea, considerato pure che ne servirebbero 20-30 mila rispetto ai circa 3 mila attualmente attivi”. Senza dimenticare “il ruolo dell’infermiere libero professionista”.

La componente del Comitato Centrale della Fnopi ha poi detto la sua in merito alla collaborazione con il privato ricordando proprio la positiva esperienza degli infermieri all’interno delle farmacie private territoriali nel corso della pandemia. “Il territorio - ha detto Magnocavallo - non è solo il distretto, non è solo casa di comunità e non è solo domicilio”. Anche dalla rappresentante della Fnopi, infine, un richiamo alla necessità di garantire omogeneità sul territorio.
 
A portare il punto di vista dell’industria, e dunque del privato, è stato Jacopo Murzi. “Le aziende farmaceutiche guardano al Pnrr con grandissima attenzione e con positività a quello che le nuove strutture territoriali potranno dare in termini di attenzione e cura dei pazienti”, ha detto. Murzi si è detto però convinto che gli investimenti previsti dal Governo, per quanto ingenti, “non saranno tuttavia sufficienti per consentire alle nuove strutture di operare al meglio o né basteranno a dare maggiore impulso alla presa in carico del paziente”. Per il General Manager Business Unit Italia di Alfasigma è qui che le aziende farmaceutiche posso intervenire, “colmando lo spazio lasciato vuoto dal sistema pubblico e quel gap di competenze e risorse, come già avviene per i bisogni di specifiche patologie a cui il sistema non riesce a dare una risposta piena”.

Anche per Murzi va abbandonata la visione a silos per collaborare, insieme, a un unico obiettivo, che è la salute del paziente. “Le aziende non intendono sostituirsi al sistema pubblico ma essere al suo fianco, e al fianco del paziente, che può essere messo nelle condizioni di prendersi più cura di sé stesso, ad esempio attraverso l’automonitoraggio”.

Per il General Manager Business Unit Italia di Alfasigma tutti questi elementi, messi insieme, si traducono in “appropriatezza”, che potrebbe anche portare alla “creazione di un circolo virtuoso che consentirebbe di portare innovazione anche negli ambiti non previsti dal Pnrr, nonché garantire un percorso di evoluzione ed innovazione costante nel tempo”.
 
Per Murzi l’industria, durante la pandemia, ha già dimostrato di poter essere un partner del sistema e dei pazienti, con progetti di consegna a domicilio dei farmaci e telemedicina, ad esempio. “Credo che vi possa essere anche spazio anche per un'ulteriore evoluzione di questa collaborazione”. Questo nuovo modo di fare salute, tuttavia, “richiederà anche un adattamento alle competenze”, ha osservato il General Manager Business Unit Italia di Alfasigma, secondo il quale le aziende potrebbero ricoprire un ruolo strategico anche nella formazione del personale, nonché del paziente e dei suoi caregiver.
 
Lucia Conti
1 aprile 2022
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