4 giugno -
"Il welfare in tutta Europa in questo periodo storico si sta interrogando. Nei Paesi del Centro e del Nord Europa sono state introdotte misure di compartecipazione massiccia. Molti ad esempio lo hanno fatto anche sulla farmaceutica imponendo il 50% della spesa di farmaci generici. Fondi per le politiche di prevenzione sono stati ottenuti anche attraverso l'inserimento di tasse quali quelle sul junk food o sulle bevande zuccherate. A livello europeo si può dire che lo hanno capito ormai tutti, i punti centrali sui quali rifondare il sistema sanitario sono: prevenzione, cure primarie, alta qualità negli ospedali, cure di lunga durata con i servizi domiciliari, sinergia dei sistemi pubblico e privato". Così
Grazie Labate, professoressa di Economia sanitaria presso l'università di York in Inghilterra, nonché ex sottosegretario alla Sanità all'epoca del secondo governo Amato, ha fatto il punto sulla situazione europea sulla riorganizzazione dei sistemi sanitari a margine del
Welfare Day 2013 svoltosi oggi a Roma.
"Stati che hanno molto debito pubblico in questi anni hanno drenato cospicue risorse, diminuendo la quota di spesa pubblica - ha spiegato - Altri Paesi con un debito pubblico più contenuto hanno invece introdotto copayment in maniera massiccia. Gli Stati che hanno dimostrato di saper reggere meglio l'impatto della crisi sono quelli che hanno registrato una crescita, un basso tasso di evasione fiscale e un'alta compartecipazione fiscale dei cittadini. Un esempio in tal senso può essere la Svezia, un Paese con una pressione fiscale sui cittadini al 57,3%, anche se, nonostante ciò, si trova anch'essa a dover affrontare alcune difficoltà legate al tema dell'invecchiamento della popolazione".
"I welfare sono in crisi a causa della recessione e della mancata crescita - ha proseguito Labate - La decisione da parte dei Paesi con debiti pubblici molto elevati di ridurre la quota di spesa pubblica la reputo una mossa sbagliata, si è visto che così i cittadini cominciano a rinunciare alla cure. Anche ragionando in ottica di ammodernamento e risparmio di risorse per il sistema, pensiamo ad esempio alla sanità digitale, parliamo di risparmi che, per diventare tali, hanno bisogno di investimenti iniziali. Ma se non si hanno questi soldi da investire? Qui possono intervenire forme collettive di copertura delle responsabilità, che, tengo a precisare, non hanno nulla a che fare con forme di assicurazioni private".
"Chi parla di fondi integrativi come grimaldello per scardinare il nostro sistema pubblico universalista sbaglia - ha precisato - Questa è un'atavica paura generata dall'errata convinzione che, se il servizio pubblico deve fare sistema con altro, significa che finirà per essere smantellato e privatizzato. Ma non è così. Già oggi noi viviamo in un sistema con l'accreditamento pubblico del privato. Guardino all'Europa, non c'è un solo sistema sanitario che, pur avendo incentivato lo sviluppo di fondi integrativi e mutualità, sia poi andato incontro ad un processo di privatizzazione".
"Si tratta di sopperire a delle mancanze che il Ssn palesa. Altrimenti come si spiega il successo della mutua ligure? Con una quota di 150 o 270 euro all'anno si riesce a coprire quell'assistenza domiciliare che la Regione non ha la possibilità di finanziare a tutte quelle persone che ne avrebbero bisogno - ha proseguito Labate - Ignorare la questione vuol dire andare incontro ad una realtà paradossale: quell'assistenza domiciliare che non può più essere garantita dal Ssn e dalla famiglie viene delegata alle badanti. Ci troviamo così ad avere un numero di badanti, non qualificate per questo genere di servizio, superiore al numero dei dipendenti del Ssn. Il tutto con un alto tasso di elusione fiscale e contributiva".
"C'è troppa confusione sull'argomento dei fondi integrativi. Al contrario di quello che si pensa, questi non hanno costi amministrativi, basta vedere i bilanci. Riorganizziamo il sistema, ma tenendo conto che un Paese che invecchia e che ha sempre più bisogno di cure di lunga durata ha bisogno di reperire nuove risorse - ha concluso - Una delle anomalie italiane è che siamo il Paese con la più alta spesa out of pocket , e, nonostante ciò, non si vuole mettere a sistema queste spese in forme collettive di copertura delle responsabilità".
Giovanni Rodriquez