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QS Edizioni - sabato 23 novembre 2024

Scienza e Farmaci

Covid e Plasma iperimmune. “Non sappiamo ancora se funziona, ma in ogni caso l’Italia è pronta a raccoglierlo e conservarlo”. Parla il Direttore Centro nazionale sangue

di Ester Maragò
immagine 24 novembre - Il Centro nazionale sangue e l’Iss, coadiuvati dai Centri trasfusionali italiani, stanno lavorando su test, in arrivo nelle prossime settimane, in grado di individuare agevolmente il quantitativo di anticorpi nel plasma convalescente e consentire di raccoglierlo con facilità rendendolo immediatamente disponibile. Ma servono ancora evidenze scientifiche inequivocabili sull’efficacia di questo trattamento che comunque, di sicuro, non produce danni. Il direttore del Cns Vincenzo De Angelis ci spiega a che punto siamo
Un’arma potente per mettere definitivamente a tappeto il Covid 19 o solo caricata a salve? E se fosse una risorsa vincente, il sistema sanitario sarebbe pronto a servirsene? Soprattutto, ogni paziente guarito può donare il proprio plasma iperimmune e tutto il plasma donato può essere trasfuso?
 
Sono tanti gli interrogativi sull’uso del plasma convalescente, trattamento conosciuto già durante l’influenza spagnola del 1918. Interrogativi in cerca di risposte concrete, anche perché la battaglia si fa sempre più dura e arricchire l’armamentario terapeutico in attesa del vaccino non guasterebbe.
 
È di qualche giorno fa un servizio televisivo realizzato da Le Iene che metteva in luce le potenzialità del trattamento gettando però anche qualche ombra sulla capacità di ricezione del sistema trasfusionale italiano. Quotidiano Sanità è tornato sul tema per capire qual è lo stato dell’arte con Vincenzo De Angelis, Direttore del Centro nazionale sangue
 
Dottor De Angelis, in questi ultimi giorni i media hanno riportato alla ribalta il plasma iperimmune, gettando però ombre sulla capacità del sistema di reperire ed utilizzare questa possibile arma per combattere il Covid 19. Vogliamo chiarire una volta per tutte la questione e fare luce sull’efficacia di questa terapia?
Allo stato attuale abbiamo solo una certezza: la trasfusione da plasma convalescente non produce danni, ma non abbiamo la sicurezza che sia realmente efficace. Guardi, io ragiono in termini scientifici: solo i risultati di protocolli di studio randomizzati possono darci risposte certe. In Italia in questo momento ci sono 5 sperimentazioni cliniche, la più importante di queste, diffusa a livello nazionale, è il protocollo “Tsunami”. L’unica finalità è quella di capire se la terapia con plasma iperimmune è efficace o meno, quindi se riduce la mortalità, accelera la guarigione e riduce le complicanze.
 
Questo in Italia. Ma nel mondo sono 138 gli studi in corso, di cui 73 randomizzati. Proprio la scorsa settimana è stata pubblicata una Chocrane in cui gli autori scrivono di non essere sicuri che il plasma convalescente sia utile per le persone ricoverate in ospedale con Covid -19. Tirando le somme, non abbiamo in mano ancora elementi sicuri.
Ma gli studi continuano e questo non significa rinunciare a priori a questa potenziale risorsa. Anzi, dobbiamo comportarci come se funzionasse. Quindi, bisogna continuare a raccoglierlo e conservarlo per non farci trovare impreparati quando arriveranno evidenze scientifiche inequivocabili. E i Centri trasfusionali si stanno muovendo in tal senso. Insomma, per chiarire anche quanto adombrato dai media, l’utilizzo di plasma immune, o il non uso, può dipendere da altri fattori e non di certo da carenze di plasma o da impedimenti organizzativi.
 
Quali fattori?
Innanzitutto, non sempre viene richiesto dai medici, magari perché hanno già avviato altri protocolli clinici che non prevedono l’uso di plasma immune. Per avere un “buon” plasma convalescente, il paziente deve avere caratteristiche dalle quali non si può prescindere. Ossia, deve rispondere ai criteri di idoneità di qualsiasi donatore di sangue, deve essere un paziente guarito dal Covid 19 almeno da 14 giorni, deve essere negativo al tampone per la ricerca di Sars-CoV-2, deve avere più di 18 anni e meno di 65, e non deve essere una donna che ha avuto gravidanze o aborti. Stiamo parlando quindi di circa metà della popolazione il cui plasma, anche se contiene anticorpi, non può essere trasfuso.
 
Perché le donne che hanno avuto una gravidanza non possono donare plasma iperimmune?
Chiariamo bene anche questo punto. Le donne possono donare plasma per produrre medicinali plasma-derivati, ma non plasma destinato alla trasfusione diretta, quindi neppure plasma immune. Questo perché le potenziali donatrici che hanno avuto anche una sola gravidanza o un aborto, possono sviluppare anticorpi anti-Hla. Anticorpi che possono causare una delle più temibili complicanze da trasfusione di plasma, ossia la Trali, Transfusion-Related Acute Lung Injury, un grave danno polmonare, ad oggi la principale causa di mortalità trasfusionale residua. Una complicanza che un malato di Covid di certo non può permettersi.
 
Insomma, ci sono difficoltà nella raccolta di plasma convalescente e quindi carenze?
Non ci risulta. Ogni 15 giorni pubblichiamo sul sito del Cns i risultati dei monitoraggi condotti nelle regioni, accessibili a tutti; anche molte Regioni italiane pubblicano sui propri siti istituzionali informazioni utili per la donazione del plasma immune. Quindi, se consideriamo che nei Centri dove si può fare la plasmaferesi si può fare anche la donazione di plasma iperimmune, e che non ci sono particolari criticità, la risposta è ovvia. E se anche dovesse esserci una carenza in qualche Regione, verrebbe compensata con quanto raccolto nelle Regioni con scorte più abbondanti. Inoltre, presto saranno disponibili dei finanziamenti specifici per potenziare ulteriormente la raccolta del plasma e raggiungere un’autonomia su questo fronte che, lo ricordo, è una delle priorità a livello europeo. A conti fatti il quadro in prospettiva è positivo.
 
Che tempi prevede per passare dall’attuale fase sperimentale di utilizzo di plasma convalescente ad una fase a regime?
Questa stessa domanda mi è stata rivolta ad aprile. All’epoca risposi in pochi mesi. Ma questi pochi mesi sono passati e le risposte non sono ancora arrivate. Quindi ora mi trovo più a disagio nel rispondere. Vedremo. Nel frattempo ci stiamo attrezzando e non solo incentivando i Centri trasfusionali alla raccolta.
 
Cosa avete nel cassetto?
Le linee guida per l’uso del plasma iperimmune ci dicono che il plasma deve contenere un certo quantitativo di anticorpi, detto “titolo”, misurato con tecniche di neutralizzazione o con tecniche di analoga sensibilità. Per individuare il titolo degli anticorpi, attualmente, si ricorre a un test di neutralizzazione che è però molto indaginoso e alla portata di pochi laboratori. Il Centro nazionale sangue e l’Istituto superiore di sanità, assieme al Centro trasfusionale di Padova e altri Centri italiani, stanno portando avanti, in parallelo, studi per qualificare test più semplici e alla portata di tutti che abbiano appunto quella analoga sensibilità richiesta dalle linee guida. Questo consentirà ai Centri trasfusionali non solo di raccogliere il plasma iperimmune più facilmente, ma anche di renderlo immediatamente disponibile.
 
I tempi?
In questo caso posso risponderle senza dubbi: avremo gli esiti già tra 15 giorni.
 
Ester Maragò
24 novembre 2020
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