Pronto il prototipo per "viaggiare" nel flusso sanguigno
27 febbraio - Non ha bisogno di pile per l’alimentazione, né di fili. Può essere pilotato via radio e viaggiare tra vene e arterie, oppure impiantato a controllo delle funzioni dell’organismo. Per ora dell’apparecchio esistono solo prototipi, ma i ricercatori assicurano: “stiamo andando nella giusta direzione”.
Se qualcuno dicesse che è possibile far navigare un apparecchio medico nel flusso sanguigno all’interno delle vene, senza batterie o fili elettrici a dargli energia e con la possibilità di muoverlo tramite controllo wireless dal laboratorio, si potrebbe forse pensare che sta parlando di un film di fantascienza. Ma se a dirlo è una docente di ingegneria elettronica alla International Solid-State Circuits Conference, importante convegno mondiale di ingegneria, le cose cambiano: soprattutto se la ricercatrice afferma di aver già prodotto un prototipo del dispositivo e sostiene le sue parole con un video dimostrativo (vedi fondo pagina).
A dare l’annuncio della creazione di un apparecchio così rivoluzionario è stata infatti Ada Poon della Stanford University, che con il suo gruppo sta da anni lavorando ad una nuova classe di dispositivi che possono essere impiantati o iniettati nel corpo umano e che sono controllati e ricaricati tramite onde elettromagnetiche. “Uno strumento del genere potrebbe cambiare per sempre il modo di fare medicina”, ha annunciato alla conferenza che si è tenuta a San Francisco. “Le applicazioni includono moltissime azioni che fanno parte della pratica clinica quotidiana, dalla diagnosi alla chirurgia minimamente invasiva”.
L’idea
Secondo la ricercatrice è possibile creare apparecchi fissi nel corpo – come sonde cardiache, sensori chimici e di pressioni, impianti cocleari, pacemaker – oppure altri che si spostano nell’organismo viaggiando nei vasi sanguigni, per trasportare farmaci, fare analisi o addirittura rimuovere trombi o placche aterosclerotiche.
L’idea in realtà non è nuovissima, ma fino ad oggi i dispositivi ideati dai ricercatori avevano problemi di alimentazione, visto che le batterie hanno dimensioni in genere troppo grandi e devono essere sostituite periodicamente. “Sebbene siamo riusciti nel tempo a miniaturizzare sempre di più le componenti sia elettroniche che meccaniche, non siamo ancora stati in grado di rimpicciolire le dimensioni dei ‘serbatoi’ di accumulazione dell’energia”, ha spiegato Teresa Meng, coautrice dello studio. “Questo ci rallentava, o addirittura ostacolava, quando cercavamo un modo di impiantare apparecchi medici che rimanessero stabili nel corpo”.
Le difficoltà
La classe di dispositivi ideati dal team statunitense, invece, consistono in una radiotrasmittente che invia segnali al microchip vero e proprio che, dotato di un’antenna wireless, può essere inserito all’interno dell’organismo e controllato da fuori. Il trasmettitore e l’antenna sono accoppiati magneticamente e così un cambiamento di corrente in quello che si trova fuori dal corpo, produce una tensione in quello interno, alimentandolo.
Sembrerebbe qualcosa di semplice, ma in realtà non lo è. Per procedere alla realizzazione dello strumento, i ricercatori hanno dovuto prima smentire alcune assunzioni errate sul trasporto wireless di energia nel corpo umano.
Per 50 anni gli scienziati hanno pensato di non poter alimentare apparecchi impianti nel corpo umano tramite onde elettromagnetiche perché, secondo i modelli, le onde radio ad alta frequenza si sarebbero dissipate piuttosto velocemente nell’attraversare i tessuti, non riuscendo dunque a fornire energia sufficiente.
Al contrario le onde a frequenza più bassa sarebbero penetrate bene, ma queste necessitano di antenne piuttosto grandi, non compatibili con l’idea che l’apparecchio avrebbe dovuto viaggiare senza problemi in tutti i vasi sanguigni.
La soluzione
Solo che, tutto ciò, come già detto, era previsto solo da modelli matematici, e non era mai stato testato nella realtà. Peccato che i presupposti su cui si basavano quelle formule fossero sbagliati: questi supponevano che il grasso e le ossa fossero un buon conduttore di elettricità, mentre in realtà i tessuti umani non conducono bene, anche se le onde possono muoversi attraverso di essi. Dai primi test il team ha poi scoperto che la dissipazione di energia nel passaggio delle onde era bassa e quindi che queste potevano arrivare senza problemi a un apparecchio che viaggia all’interno dell’organismo.
“Tramite studi sempre più approfonditi abbiamo osservato che la frequenza ottimale per la ricarica wireless attraverso i tessuti è circa un Gigahertz, 100 volte maggiore di quanto pensassimo”, ha spiegato Poon. Il che vuol dire che le antenne potevano essere 100 volte più piccole, ovvero delle dimensioni di circa due millimetri quadrati.
“Chiaramente quelli che abbiamo realizzato sono solo prototipi, che possono essere migliorati molto”, ha spiegato la ricercatrice. “Ci vorrà ancora molto lavoro perché questi apparecchi siano pronti per le applicazioni in campo medico. Ma per la prima volta da decenni questa possibilità sembra veramente vicina”.