Quando a una donna incinta viene diagnosticato un cancro, lei, la sua famiglia e i medici devono prendere una decisione difficile: iniziare una chemioterapia, che potrebbe avere ripercussioni sulla salute del feto, o posticipare la cura con in rischio che la salute della madre peggiori? Da oggi, secondo una
ricerca dell’Università Cattolica di Lovanio, vicino Bruxelles in Belgio, i dubbi potrebbero essere molti meno. Gli scienziati hanno infatti pubblicato uno studio su
The Lancet Oncology che spiega come non sia vero che la chemioterapia durante la gravidanza abbia ripercussioni negative sul cervello o sul sistema cardiocircolatorio dei feti, se questa non viene intrapresa prima delle 12 settimane di gestazione.
Per dimostrarlo, i ricercatori hanno controllato il livello di sviluppo mentale e fisico di 70 bambini nati da madri che avevano effettuato la chemioterapia durante la gravidanza. Lo studio è iniziato nel 2005, e tutti i partecipanti avevano dai 18 mesi ai 18 anni. Gli scienziati hanno così dimostrato che le capacità di questi bambini e ragazzi erano simile a quelle degli altri, tranne quelli nati pretermine, che presentavano un quoziente intellettivo più basso in media di 12 punti per ogni mese di prematurità. I problemi, dunque, non sembravano derivare dalla chemioterapia.
“Abbiamo dimostrato che i bambini che venivano esposti al trattamento prima di nascere crescono nella stessa maniera rispetto agli altri”, hanno commentato gli autori. “Per questo la decisione di ricorrere alla chemioterapia dovrebbe seguire le stesse Linee guida alle quali rispondono le pazienti non gravide. Nella pratica si può dunque cominciare a sottoporre le pazienti a chemioterapia già a partire dalla 14esima settimana di gestazione, mantenendo però sotto controllo sia madre che feto durante tutto il resto della gravidanza”.
Un risultato importante a maggior ragione se si considera che sta pian piano aumentando l’età a cui si decide di fare figli, con la conseguenza che anche il numero di diagnosi di cancro per le donne incinte sta aumentando. Ma il lavoro suggerisce che anche nel caso si verifichi questa evenienza non ha senso posticipare le cure fino al parto.
Per essere del tutto sicuri che non ci siano ripercussioni in età avanzata i ricercatori hanno già annunciato di aver programmato un follow-up ancor più lungo. In particolare gli scienziati belga vogliono verificare che questi bambini non presentino problemi di fertilità una volta cresciuti, o un rischio maggiore di sviluppare cancro a loro volta.
Laura Berardi