Nel 2016 la spesa sanitaria pubblica italiana stimata raggiungerà i 113,2 Mld di euro, ovvero +1,9 rispetto al 2015. Nel 2012 era 111 Mld, pari al 7 per cento del Pil (circa 1.867 euro annui per abitante). La spesa sanitaria va quindi crescendo e, notizia di questi giorni, la durata media della vita, anche se di poco, sta scendendo.
Vuol dire forse che, nonostante l’enorme impegno professionale ed economico, le risorse sono spese male o in modo non adeguato, o è solo il risultato della crescita dei costi? In ogni caso, anche se molto inferiore a quella di altri importanti Paesi europei, è necessario trovare il modo di ridurre la spesa sanitaria.
I tagli lineari fin qui apportati sono stati fortemente, e giustamente, contestati perché non garantiscono un miglioramento della salute; anzi, rischiano di peggiorarla con conseguente ulteriore aumento dei costi. E’, infatti, necessario avviare un percorso verso l’appropriatezza, che però non può essere solo un termine ma una strategia condivisa con gli operatori della sanità.
Il grande sforzo che la Sanità sta facendo è però rivolto principalmente a chi è già malato, e quindi necessitando delle cure appropriate, risulta difficile ridurre l’impegno di spesa. Il Parlamento si trova di fronte ad un importante dilemma istituzionale: da una parte il diritto alla Salute, sancito dalla Costituzione, e la scelta di erogare gratuitamente (o quasi) l’assistenza sanitaria; dall’altra, l’esigenza imprescindibile di contenere una spesa destinata a salire, anche per il progressivo invecchiamento della popolazione, che erode grandi risorse che potrebbero essere destinate allo Stato Sociale o ad altri investimenti produttivi.
La prevenzione è certamente il modo migliore per razionalizzare la spesa e quindi ridurla; ma tutti sappiamo che una corretta prevenzione può dare risultati a lungo termine e, anche se certamente porta ad un cospicuo risparmio, al momento risulta essere solo un costo e le risorse sembrano esaurite.
Si tratta perciò di decidere se correre dietro alla malattia cercando di tamponare al meglio i danni da essa creati, spendendo il meno possibile o, invece, fare qualche investimento, magari in nuove tecnologie, soprattutto diagnostiche, per ridurre l’insorgenza di malattia.
Oppure, più semplicemente, bisogna cercare di ammalarsi di meno.
Non è un’utopia. E’ possibile ammalarsi di meno riducendo così la spesa sanitaria. Vediamo come.
La sedentarietà è un rischio per la salute, perché produce 2 milioni di decessi/anno nel mondo. In particolare, l’inattività fisica favorisce il 10-16% dei casi di cancro della mammella, del colon e del diabete e il 22% di infarti.
Una regolare attività fisica è perciò fondamentale per la prevenzione.
I benefici sulla salute portati dal cambiamento nelle abitudini di vita sono dimostrati da uno studio durato 25 anni, nel quale si è dimostrato che un cambiamento dello stile di vita ha ridotto le morti per malattie cardiovascolari (-68%), infarto (-73%), tumore (-44%).
Uno stile di vita più attivo porterebbe alla prevenzione di almeno 2 milioni di morti premature e di 20 milioni di DALYs (Disability Adjusted Life Years) nel mondo.
Per cinque patologie è stata provata la relazione tra l’attività fisica e i benefici sulla salute: malattie cardiovascolari, ictus, tumori al colon, tumore al seno e diabete di tipo II. Un elenco allargato delle malattie causate dalla vita sedentaria include: sovrappeso, obesità, diabete di secondo tipo, disturbi cardiocircolatori (infarto, miocardico, ictus, insufficienza cardiaca, ipertensione arteriosa, insufficienza venosa), osteoporosi, artrite, aumento dei livelli di colesterolo e trigliceridi nel sangue, cancro del colon e della mammella. Tutte patologie che, una volta insorte, tendono a cronicizzare e devono essere tenute sotto costante controllo sanitario e cure appropriate.
E’ stato calcolato che aumentando di solo l’1% il numero delle persone attive si risparmierebbero 80 milioni di euro all’anno nella spesa sanitaria.
La principale conseguenza dell’inattività fisica è il sovrappeso e la successiva obesità. L'obesità di tipo centrale, con l’accumulo di grasso negli organi interni, si associa ad un’aumentata incidenza di complicanze: metaboliche (diabete e/o intolleranza agli idrati di carbonio, dislipidemie, iperuricemia), cardiovascolari (ipertensione arteriosa, cardiopatia ischemica e scompenso cardiaco), sistemiche (artrosi, cancro del colon, insufficienza respiratoria, colelitiasi, ecc.).
Circa il 50% dei bambini obesi oltre i 6 anni diventa obeso da adulto in confronto del 10% dei bambini non obesi della stessa età. Negli adolescenti obesi tale percentuale sale al 70% e supera l’80% se anche uno dei genitori è obeso.
In Italia, il 33,1% della popolazione è in sovrappeso (41% degli uomini e 25,7% delle donne) e il 9,7% è obesa. Sebbene gli ultimi dati siano lievemente incoraggianti, i livelli di sovrappeso e obesità in età infantile restano elevati.
Il fenomeno è più diffuso al Sud (in Abruzzo, Molise, Campania, Puglia e Basilicata riguarda più del 40% del campione), dove alcune abitudini alimentari e la scarsa percezione del fenomeno depongono a sfavore. Su 46.492 bambini appartenenti a 2.623 classi di terza elementare, il 22,1% dei bambini di 8-9 anni è in sovrappeso rispetto al 23,2% del 2008/09 (-1,1%) e il 10,2% in condizioni di obesità, rispetto al 12% del 2008/09 (- 1,8%).
La presenza dell’obesità nell’adolescenza è predittiva di un maggiore sviluppo di eventi cardiovascolari in età adulta, anche se in questa epoca della vita si è raggiunto un peso corporeo normale. I bambini tra i 6 e gli 11 anni con problemi di eccesso ponderale sono 1 milione e centomila. Il 12% risulta obeso, mentre il 24% è in sovrappeso: più di un bambino su tre, quindi, ha un peso superiore a quello che dovrebbe avere per la sua età.
Come si è arrivati a questo?
Medicina scolastica e medicina militare sono state praticamente smantellate, con seria compromissione della prevenzione. La rilevazione precoce di molte patologie rallenta l’insorgenza di complicazioni e contribuisce fortemente al miglioramento della qualità della vita; un esempio fra tutti: il diabete, che colpisce un gran numero di persone con costi sempre più elevati.
L’attività sportiva è importante per la prevenzione di molte patologie e per migliorare le condizioni di soggetti malati. “Exercise is medicine” è il nuovo indirizzo per la prevenzione e la terapia.
I ragazzi, inoltre, traggono beneficio dall’attività sportiva anche per la loro maturazione psichica.
Vi sono poi i danni da scorretta alimentazione, dall’uso e dalla dipendenza dall’alcol e dalle sostanze farmacologicamente attive, dall’abuso di farmaci, anche quelli consentiti.
E’ quindi necessario aumentare la quantità/qualità del tempo dedicato all’attività fisica, sia in ambito scolastico che extrascolastico ma, soprattutto, è fondamentale la diffusione della conoscenza del problema.
Una capillare informazione/formazione, insieme ad un’attività sportiva ed un controllo medico adeguato in ogni ordine di Scuola, porterebbero ad una forte riduzione della spesa pubblica, molto superiore agli 80 milioni di cui abbiamo poco fa parlato, con un investimento pressoché irrisorio.
L’ideale sarebbe istituire nella scuola un corso di educazione sanitaria, nutrizionale e sportiva, al fine di migliorare gli stili di vita e ridurre la spesa sanitaria attraverso l’educazione alla salute, alla corretta alimentazione ed alle attività sportive. Basterebbero 1-2 ore alla settimana per comunicare ai ragazzi, ed indirettamente alle loro famiglie ed alle famiglie del futuro, quali sono i criteri per una vita sana.
E’ però necessario poter disporre di personale docente adeguatamente qualificato per la trattazione e divulgazione dei principi della prevenzione sanitaria, della corretta alimentazione e del corretto approccio alle attività sportive. Serve perciò una formazione specifica che andrebbe svolta nelle Università. L’educazione alla salute non può essere svolta dai professori di Scienze né da quelli di Attività motorie, da soli; è necessario che sia un medico con formazione specifica a coordinare, magari in co-presenza, gli interventi.
Bisogna avviare una formazione globale: dei docenti della scuola, dei medici di famiglia, degli addetti alla preparazione fisica e atletica, dei dirigenti sportivi. Ci si potrebbe chiedere, perché i dirigenti sportivi? Perché sono necessari manager delle strutture sportive che non siano spinti solo dall’ottenimento del risultato, ma che facciano dell’attività sportiva un mezzo per il miglioramento della salute pubblica, come descritto di seguito.
Come fare per aumentare il numero dei praticanti l’attività fisica? Vanno promosse convenzioni fra le scuole e le strutture sportive (laddove le scuole già non le abbiano) dei Comuni, dei circoli sportivi, per due/tre ore al pomeriggio, per tutti i ragazzi almeno delle scuole medie e delle scuole superiori, chiedendo alle famiglie un contributo minimo, ad esempio 20 euro mensili in modo da svolgere attività fisica a costi contenuti.
Se immaginiamo di raccogliere in una struttura sportiva 100 ragazzi, le cui famiglie verserebbero 20 euro, con i 2000 euro risultanti si potrebbe pagare un istruttore qualificato che li seguirebbe per le due/tre ore, facendo loro praticare un’attività fisica adeguata. Come per tutte le attività sportive, i ragazzi dovrebbero preliminarmente sottoporsi ad un controllo medico, che identificherebbe le eventuali patologie.
Così, in modo molto semplice, si ridurrebbero l’obesità e le patologie ad essa connesse, si migliorerebbe il decorso di molte patologie, si aumenterebbe l’occupazione e si potrebbe avere una leva sportiva molto ampia, a costo quasi nullo.
Qualcuno potrebbe obiettare: ma se alcuni alunni non vogliono fare attività fisica? Nessun problema, li si porta ugualmente sui campi, dove assistono all’attività degli altri. Prima o poi si convinceranno a farla anche loro.
Ho citato i dirigenti sportivi. E’ fondamentale una preparazione di livello universitario adeguata anche per chi vuole intraprendere la carriera di dirigente sportivo. A tutti i livelli. Il dirigente sportivo ideale deve avere conoscenze biomediche, tecnico-addestrative e riabilitative, giuridico-economiche, di psicologia dello sport e di comunicazione sportiva, degli impianti e delle attrezzature. Non sempre basta essere stato un atleta, anche se di livello, per essere un buon dirigente sportivo.
Per le giovani generazioni, che vanno indirizzate ad una corretta cultura dello sport, sono indispensabili istruttori e dirigenti che abbiano una precisa cognizione di quello che fanno e del materiale umano che hanno a disposizione.
Per fare un esempio, qualche tempo fa è stato proposto che non debba essere necessario il patentino di allenatore per le società dilettantistiche, per risparmiare. Sappiamo però quanto conti un allenatore in una squadra, il suo ruolo di educatore e controllore; secondo la proposta, potrebbe essere chiunque. E i risultati?
Nel concetto di formazione globale va considerata anche la possibile ricaduta positiva nell’ambito della sicurezza pubblica, perché molte organizzazioni si avvalgono anche di centri sportivi per lo smercio di prodotti illeciti e per il riciclaggio di denaro.
L’illecito è favorito dal sottosviluppo e dall’ignoranza.
Istituire in ogni centro sportivo, dalla più piccola palestra alla più grande organizzazione, la qualità certificata del dirigente e/o dei preparatori atletici, costituirebbe non solo una garanzia per il pubblico di avere istruttori di qualità, ma anche la possibilità di “tracciare” compiutamente il sistema, limitando il raggio di azione delle organizzazioni criminali.
Vanno ovviamente sviluppati, nelle Università o negli Ospedali, percorsi specifici sia per l’idoneità sportiva che per la diagnosi e cura di patologie legate allo sport.
Il problema dell’attività fisica non investe però solo i bambini, ma anche gli anziani. L’esercizio è un potente stimolo alla produzione di GH e, d’altro canto, l’invecchiamento e l’obesità sono associati ad una riduzione della produzione di GH. Ma allora, è l’obesità che fa invecchiare o l’invecchiamento che fa ingrassare?
L'infiltrazione di grasso fa parte naturale del processo di invecchiamento. Invecchiando, i nostri muscoli cominciano gradualmente a ridursi, bruciando meno calorie. Quando perdiamo tessuto muscolare, bruciamo anche meno grassi e cominciamo ad aggiungere grasso alla nostra struttura.
Perciò, se è fisiologico che il tessuto adiposo sostituisca quello muscolare nel corso dell’età, è indispensabile mantenere attivo il sistema muscolare, per ritardare il processo ed evitare che il grasso si accumuli oltre misura.
In definitiva: aumentando l’attività fisica si migliorerebbe la salute del Paese, si ridurrebbe la spesa sanitaria, si darebbero nuove opportunità di lavoro e magari un piccolo passo avanti nel campo della sicurezza.
E’ così difficile?
Prof. Roberto Verna
Ordinario di Patologia Clinica
Direttore Centro per la Medicina e il Management dello Sport
Sapienza Università di Roma, Dipartimento di Medicina Sperimentale
Past President Società Italiana di Patologia Clinica e Medicina di Laboratorio - SIPMeL
iPresident, World Association of Societies of Pathology and Laboratory Medicine
e Rappresentante all'OMS
President, World Pathology Foundation