Andare di frequente in chiesa, nelle donne, riduce il rischio di mortalità per tutte le cause, in particolare quella per cancro e malattie cardiovascolari. E’ quanto rivela uno studio pubblicato su
JAMA Internal Medicine che ha utilizzato dati del
Nurses’ Health Study.
Tyler J. VanderWeeledella Harvard T.H. Chan
School of Public, USA e colleghi hanno valutato la correlazione tra la frequentazione di funzioni religiose e la mortalità in una coorte di donne, utilizzando le risposte raccolte attraverso un questionario e seguendole per 16 anni. La maggior parte delle partecipanti a questo studio era di religione cattolica o protestante.
Tra le 74.534 donne che nel 1996 avevano risposto al questionario, 14.158 hanno riferito di andare in chiesa più di una volta a settimana, 30.410 una volta a settimana, 12.103 meno di una volta a settimana e 17.872 di non andarci mai. Le più assidue frequentatrici di servizi religiosi mostravano in generale meno sintomi depressivi ed erano più spesso sposate e non fumatrici.
In questo gruppo di donne nel corso dei 16 anni di
follow up si sono registrati 13.537 decessi, tra i quali 2.721 per malattie cardiovascolari e 4.479 per cancro. Tuttavia le grandi frequentatrici di funzioni religiose hanno presentato un rischio di mortalità ridotto del 33% durante i 16 anni di follow up, rispetto a quelle che non mettevano mai piede in chiesa. Quelle che frequentavano la chiesa una volta a settimana hanno visto il loro rischio di mortalità ridursi del 26%, mentre le frequentatrici meno assidue potevano contare comunque su una riduzione di mortalità del 13%.
Lo studio suggerisce dunque che chi partecipa a funzioni religiose più di una volta a settimana, presenta un rischio di morire per cause cardiovascolari e per tumori ridotti rispettivamente del 27% e del 21%, rispetto a quelle che non vanno mai in chiesa. Secondo gli autori un importante contributo a questa riduzione di mortalità va ricercato nella minor presenza di sintomi depressivi, in un maggior ottimismo di fondo, in una meno frequente abitudine al fumo e nel poter contare su un supporto sociale . Sono risultati tuttavia che non possono essere generalizzati, ammettono gli autori, anche perché la maggior parte delle partecipanti erano cristiane, bianche, lavoravano come infermiere e potevano contare dunque su un buon salario e su un bagaglio di conoscenze che predisponeva ad uno stile di vita salutare.
Non è possibile dunque rintracciare in questo studio un sicuro rapporto causale tra l’andare in chiesa e il veder abbattuto il proprio rischio di morte e d’altronde non è ipotizzabile il fatto di poter organizzare un trial randomizzato caso-controllo su chi va in chiesa e chi no.
“Religione e spiritualità – riflettono gli autori - possono rappresentare una risorsa per la salute, che i medici non hanno ancora sufficientemente valorizzato e tenuto in considerazione e che forse merita di essere esplorata con i propri pazienti, ove possibile”.
“In questo numero di JAMA
Internal Medicine – scrive in un
editoriale di accompagnamento
Dan German Blazer del Duke University
Medical Center, Durham (USA) – Li e colleghi riferiscono la presenza di una chiara e piuttosto forte associazione tra la frequentazione di funzioni religiose e una ridotta mortalità nel corso di 16 anni di
follow up in un sottogruppo dal
Nurses’ Health Study. Per prima cosa, lettori e ricercatori devono, come fanno gli autori dello studio, focalizzarsi sui dati, né più e né meno, e non cercare di generalizzare oltre l’evidenza”. Ma allora quale è la lezione di questo studio?
“L’associazione statistica emersa da questa analisi – ammette l’editorialista - è decisamente solida e importante; non è possibile ignorarla e di certo merita di essere indagata a fondo”.
Maria Rita Montebelli