(Reuters Health) - Secondo uno studio finlandese, negli ultimi 40 anni l’incidenza dell’epilessia in pazienti con meno di 65 anni si è mantenuta stabile, ma è aumentata in modo significativo nella popolazione con più di 65 anni. “La prevenzione dell’insorgenza di nuovi casi di epilessia è un problema sanitario importante, e la necessità di risolverlo non è ancora soddisfatta”, ha scritto
Dieter Schmidt, dell’Epilepsy Research Group di Berlino, autore dello studio apparso su
JAMA Neurology online il 15 febbraio. La prevenzione primaria dell’epilessia, attraverso la riduzione del rischio di traumi al cervello, infarti, e demenza, è l’attuale strategia valida, perché non esiste alcun farmaco capace di prevenire l’epilessia prima che essa diventi clinicamente osservabile. Il team del dr. Schmidt ha valutato i progressi nella prevenzione dell’epilessia in Finlandia durante gli ultimi 40 anni, utilizzando dati registrati su una popolazione di circa 5 milioni di finlandesi.
I risultati della ricerca
Durante lo studio, il team han identificato 100.792 persone con una prima diagnosi di epilessia, incluse 46.995 (il 47%) con crisi focali. Non sono stati osservati cambiamenti nell’incidenza dell’epilessia nelle persone con meno di 65 anni di età (60 su 100.000 nel 1973 e 64 su 100.000 nel 2013). “Questo significa che non c’è stato un sostanziale miglioramento nel prevenire l’insorgenza di nuovi casi di epilessia per questo gruppo di persone”, ha fatto notare il dottor Schmidt. La scoperta era “inaspettata”, hanno affermato i ricercatori nel loro articolo, visto il trend discendente negli incidenti stradali e nelle ferite correlate a situazioni di tipo militare. Nei pazienti con più di 65 anni, è stato registrato un aumento di quasi cinque volte dei nuovi casi di epilessia (dai 57 ai 217 per 100.000), che però non è stato definito inaspettato, considerando l’aumento dell’età media della popolazione, oltre all’aumento dell’incidenza di infarto e demenza in questo gruppo di persone.“Più anziani si diventa, maggiore è il rischio di avere un infarto, e maggiore il rischio di sviluppare la demenza. Questi sono due dei fattori da cui dipende l’incidenza del’epilessia in persone che hanno questa età, ed è un fenomeno globale”, dice Schmidt.
I commenti della comunità scientifica
Commentando i risultati in un editoriale,
Mark Agostini del University of Texas Southwestern Medical Center di Dallas ha fatto notare che ci sono stati “incredibili e costanti miglioramenti” nella cura delle malattie neonatali e critiche negli ultimi quarant’anni. “Questo ha portato ad una maggiore sopravvivenza di pazienti con danni al cervello che possono condurre alla genesi di epilessia. La maggiore sopravvivenza di chi ha ricevuto ferite da arma da fuoco alla testa, militari o civili, oppure la maggiore sopravvivenza dei neonati prematuri sono soltanto due esempi di fattori che possono contribuire a maggiori diagnosi di epilessia. In un certo senso, un aumento dei casi di epilessia è il prezzo che si paga per gli eccezionali miglioramenti nel trattamento dei pazienti critici”, ha scritto. Il dr. Agostini sostiene che lo studio finlandese abbia diverse implicazioni importanti per la prevenzione dell’epilessia. “Il primo è l’importanza di studi epidemiologici che siano ben progettati ed a lungo termine, per assicurarci di avere un feedback adeguato in rapporto all’effettivo progresso oppure alla mancanza di progresso. Nonostante è probabile che i dati della Finlandia siano rappresentativi di molti paesi sviluppati, questo potrebbe non essere valido per nazioni meno sviluppate. La sfida è ora, per ogni singolo paese, l’inizio di un sistema di sorveglianza epidemiologica dei pazienti con l’insorgenza dell’epilessia e con epilessia cronica”.
Fonte: JAMA Neurology
Megan Brooks
(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)