“Se negli ultimi 30 anni la speranza di vita di ciascuno di noi è aumentata ogni anno di 3 mesi, insieme alle migliorate condizioni di vita e di alimentazione, alla diagnostica ed alle tecniche chirurgiche, lo si deve anche a chi ha prodotto innovazione farmaceutica”. Ad affermarlo è Alessandro Sidoli, presidente Assobiotec, rispondendo all’intervento pubblicato sulla rivista
Oggi a firma del direttore dell’Istituto Mario Negri, Silvio Garattini, secondo il quale l’industria “crea davvero pochi farmaci innovativi”. “La scoperta di nuovi farmaci sembra essere in aumento – sostiene Garattini -, ma se si analizza criticamente che cosa essi offrono, possiamo constatare che si tratta di farmaci ripetitivi. Che non apportano alcuna reale innovazione”. Intanto le industrie tagliano gli investimenti. Insomma, secondo Garattini “si ha la sensazione che l’industria farmaceutica, finora unica depositaria della possibilità di sviluppare farmaci, stia gettando la spugna”.
Parole non condivise dal presidente di Assobiotec. “Pur riconoscendo la crisi di produttività della ricerca farmaceutica – osserva Sidoli -, non posso concordare con l’autore sul fatto che l’industria abbia creato e crei pochi farmaci innovativi: l’industria, ed in particolare quella biotecnologica, è al contrario molto attiva nell’individuare, sviluppare e rendere disponibili al paziente farmaci e terapie innovative, che, in molti casi, offrono possibilità di cura che prima non esistevano”.
Il presidente di Assobiotec ricorda quindi che dal 1982 – anno in cui è stato reso disponibile il primo farmaco biotech, l’insulina umana ricombinante – ad oggi, sono stati autorizzati più di 600 farmaci e terapie biotecnologiche per trattare oltre 100 malattie. Di questi 600 farmaci, per esempio, ben 210 sono rivolti al trattamento dei tumori. Un’indagine del 2009 dello svedese Karolinska Institutet dimostra come i nuovi farmaci oncologici abbiano allungato la speranza di vita dei pazienti: per esempio, oggi, nei paesi avanzati, la sopravvivenza a 5 anni delle donne affette da tumore al seno va dall’80% al 90%. E in questo contesto, “anche il nostro Paese sta facendo la sua parte: abbiamo infatti moltissimi progetti e prodotti in sviluppo, che trovano applicazione nelle principali aree terapeutiche”.
Sidoli conviene però con Garattini quando afferma che “aumenta la difficoltà con cui si riesce a rispondere ai bisogni terapeutici insoddisfatti. Su questo però – sostiene il presidente di Assobiotec - varrebbe la pena che la comunità scientifica, l’industria di ricerca e gli enti regolatori avviassero un dibattito serio ed una collaborazione costruttiva per capire cosa è possibile fare, uscendo da modelli di contrapposizione che dovrebbero appartenere ormai al passato, con l’obiettivo di dare delle risposte concrete ai tanti pazienti che ne hanno bisogno”.