La diffusione dell’Epatite C e i nuovi farmaci in arrivo. Questi i temi portanti del primo congresso internazionale Ice, ‘Insieme contro l’Epatite’, organizzato a Milano da Donne in Rete onlus e Simit, Società italiana malattie infettive e tropicali.
L’iniziativa è rivolta a medici infettivologi, gastroenterologi, epatologi, infermieri, pazienti e associazioni. Due giornate che vedono riuniti medici, pazienti e istituzioni per confrontarsi sullo stato delle epatiti in Italia e per stabilire azioni di informazione, consapevolezza e prevenzione, ribadendo la necessità di un impegno comune in armonia con gli obiettivi di Ice.
L’Epatite C riguarda in Italia più di un milione di persone e muoiono ogni anno circa 17mila per epatica cronica. Tra questi ultimi, circa 10mila sono le persone che muoiono per epatocarcinoma correlato all’infezione da virus dell’epatite. E’ stato inoltre calcolato che l’infezione da HCV, virus dell’epatite C, comporta una spesa annua per il Ssn di circa 520 milioni, con una perdita di quasi 8 milioni di giornate lavorative.
“Gli anni a venire rappresentano una sfida d'importanza fondamentale per la gestione delle epatopatie croniche virali – afferma
Massimo Andreoni, Presidente Simit e direttore Istituto di Malattie Infettive e Tropicali, Policlinico Universitario Tor Vergata - I pazienti affetti da epatopatia cronica C stanno infatti attraversando un periodo storico di enorme cambiamento per quanto riguarda le possibilità di cura dell’infezione. Ci troviamo di fronte a uno scenario in cui la possibilità di guarire dall’epatopatia cronica eradicando l’infezione appare come una realtà per la grande maggioranza dei pazienti se non per tutti, anche se magari non nell’immediato futuro”.
Il convegno vede la presenza dei key opinion leader nazionali e internazionali nel campo dell’epatite C e di esponenti della community di pazienti, anch’essi sia nazionali che internazionali. L’intento è quello di far interagire le due figure cardini nella gestione della patologia, cioè il medico e il paziente, che a nostro avviso, proprio in questo momento storico, è assolutamente fondamentale che interagiscano condividendo proposte strategiche per l’accesso universale ai nuovi farmaci.
“Affrontare per tempo il tema delle epatiti per le istituzioni sanitarie è una necessità programmatoria, poiché l’esito della malattia non tempestivamente curata è particolarmente critico e oneroso in termini di salute pubblica – afferma
Rosaria Iardino, presidente Donne in Rete onlus - Quello alla salute è un diritto che deve essere garantito, così come deve essere garantito l’accesso alle cure a tutti i pazienti”.
Il convegno è incentrato su argomenti di virologia di base, epidemiologia, clinica, terapia, nonché di sanità pubblica, con particolare attenzione alla popolazione femminile e alla coinfezione HIV/HCV. Inoltre saranno sviluppate sessioni ad hoc con lo scopo di stimolare e accrescere l’empowerment dei pazienti stessi, proprio nell’ottica del lavorare “insieme” tra tutte le figure coinvolte nel mondo delle epatiti.
“A breve – aggiunge
Antonella Cingolani, Vicepresidente Donne in Rete onlus, ricercatore, dirigente medico Istituto malattie Infettive Policlinico Universitario A. Gemelli, Roma - saranno disponibili farmaci che, rispetto a quanto considerato fino a oggi lo “standard of care” dell'infezione cronica da HCV, e cioè interferone peghilato e ribavirina, consentiranno di “costruire” regimi terapeutici maggiormente tollerabili e molto più maneggevoli, con riduzione significativa degli effetti collaterali, del numero di compresse e del tempo di trattamento. La prospettiva per il 2020 è di poter avere a disposizione terapie attive su tutti i genotipi, senza bisogno d'impiegare l’interferone peghilato”.
Uno spazio importante è stato dedicato alle dinamiche che caratterizzano il territorio lombardo. “Sono stati istituiti negli ultimi anni, da parte del governo della Regione Lombardia, gruppi di approfondimento tecnici – spiega
Sara Valmaggi, vicepresidente del Consiglio Regionale, Regione Lombardia - di cui fanno parte medici, operatori e sanitari, che si occupano nello specifico del tema delle epatiti. C’è stato, però, sottolineato che questi gruppi di approfondimento non hanno avuto continuità di lavoro e di azione. Ma soprattutto non hanno fornito alla politica quei dati fondamentali indispensabili per poter programmare nuove azioni contro tali patologie. “Le persone al centro”, questo è l’appello che occorre lanciare: politiche sanitarie e azioni mirate che vedano al centro gli interessi delle persone affette da queste malattie. Non intese soltanto come persone bisognose di cure, ma come parte attiva dei processi decisionali delle istituzioni, sia nazionali che locali”.
Approfondimenti anche riguardo la dimensione europea, che ha assunto ormai una funzione centrale e determinante. “L’Europa crede molto in queste forme di partecipazione tra la comunità scientifica e le associazioni dei pazienti – aggiunge
Patrizia Toja, Vicepresidente Commissione per l’Industria, la Ricerca e l’Energia del Parlamento Europeo - incentiviamo questa formula anche nelle linee guida e nei nostri programmi. Queste sono le ragioni che rendono importante questo primo congresso internazionale realizzato da Simit e da Donne in rete onlus. Il Servizio Sanitario Nazionale Italiano deve fare di più, ma occorre che anche l’Europa si dia da fare, rafforzando con indicazioni precise i servizi degli stati membri e investendo nella ricerca. A tal proposito, sono certa che usciranno dei bandi affinché la comunità scientifica possa utilizzare le risorse europee per accrescere la conoscenza e le possibilità di cura”.
Di rilievo anche le riflessioni sul ruolo che spetta al legislatore. “Stare insieme, pazienti, specialisti e organizzazioni, è una necessità – dichiara
Emilia Grazia De Biasi, Presidente della 12ª Commissione Permanente al Senato Igiene e Sanità - il legislatore ha bisogno sia delle competenze della comunità scientifica, sia delle persone affette da epatopatie, per poter decidere e deliberare in modo informato. Inoltre è indispensabile che venga reso pubblico il piano nazionale per le epatiti, ed è importante che l’arrivo del nuovo farmaco sia dettato dall’universalismo e non dalla possibilità di disporne soltanto in base al censo. Si possono trovare tante strade: lo Stato e le regioni devono mettersi d’accordo per poter avere accesso al farmaco. Ci vogliono risorse ingenti, occorre trovarne le modalità, ma non sarà come negli altri stati europei nei quali il farmaco viene somministrato solo alle persone al di sotto dei 70 anni, non sarebbe giusto. Occorre invece ragionare su criteri di anzianità e di intensità della malattia”.