“Dinamico, altamente tecnologico e competitivo. Il settore del farmaco biotech in Italia rappresenta una leva di crescita per l’economia del Paese. Lo dimostrano le 175 imprese sul territorio, i 1.410 milioni di investimenti annui e i quasi 5.000 addetti in Ricerca”. È quanto affermato da
Eugenio Aringhieri, Presidente del Gruppo Biotecnologie di Farmindustria, durante il convegno
"Il DNA della Scienza. Dalle idee alle soluzioni", che si svolge oggi nel Palazzo Ducale di Genova nell’ambito del Festival della Scienza, alla presenza di studenti delle Scuole Superiori.
“Sono particolarmente lieto di poter parlare di biotecnologie alla presenza di giovani ragazzi, risorse e futuro del nostro Paese. Dalla scoperta del genoma umano - ha spiegato Aringhieri - si sono aperte nuove possibilità e prospettive, soprattutto in campo medico. E se la genetica si unisce alla medicina, tenendo conto anche dei profili bioetici, possono essere raggiunti grandi risultati”.
I farmaci biotecnologici sono già oggi il 20% di quelli in commercio e il 50% di quelli in sviluppo. In molti casi rappresentano l’unica possibilità di trattamento per patologie rilevanti e diffuse come anemia, fibrosi cistica e alcune forme di tumore. E sono tra le principali risposte alle malattie rare, perlopiù di origine genetica. Ma non solo. Dal biotech potrebbero arrivare importanti contributi per la scoperta di nuove terapie per la cura di patologie a grande diffusione (come quelle cardiovascolari) che rischiano di diventare orfane di nuovi trattamenti e di nuovi vaccini.
Il nostro Paese ha tutti i presupposti per ricoprire un ruolo da protagonista nel biotech: con i 109 farmaci disponibili, i 67 progetti discovery e i 359 prodotti in sviluppo e con le competenze scientifiche riconosciute a livello internazionale.
“Numeri importanti – ha precisato Aringhieri – che descrivono una realtà hi tech solida e con enormi capacità di sviluppo. Per spingere sull’acceleratore è necessario però un rapporto sinergico tra imprese, territori, centri di ricerca pubblici e privati, che si fondi su politiche attente alle sue potenzialità. Ricerca e Innovazione, come recentemente sostenuto dal premier Enrico Letta, non possono essere sacrificate sull’altare dell’austerity. Rappresentano infatti – ha concluso – una leva strategica per la competitività del Paese”.
Il red biotech è il più importante ambito di intervento del settore delle biotecnologie e contribuisce per il 58% al numero di imprese (235), con risultati importanti in termini di fatturato (95%), investimenti (92%), addetti in R&S (81%). I trend sono in crescita per quanto riguarda fatturato e investimenti, mentre si registra una diminuzione del numero di imprese (circa -4%).
Una realtà radicata nel territorio con la Lombardia al primo posto per numero di imprese biotech (70), seguita da Lazio (23), Piemonte (18), Emilia Romagna (17), Toscana (14).
I prodotti farmaceutici in sviluppo in Italia sono 359: il 59% è in fase avanzata di sperimentazione. Le imprese del farmaco hanno il 60% dei progetti in sviluppo mentre è in capo alle altre biotech del farmaco il restante 40%. La fase di preclinica (27% del totale) è l’attività principale di altre biotech del farmaco (58%), mentre le imprese del farmaco si concentrano sulle fasi di sviluppo più avanzate (44% in Fase III, 35% in Fase II). L’oncologia continua ad essere l’area terapeutica con il maggior numero di progetti di R&S (44%), con gran parte dei prodotti in fasi conclusive di sviluppo.
Come dicevamo sono 109 i farmaci biotecnologici disponibili (80% dei quali coperto da brevetto), relativi a 11 aree terapeutiche e commercializzati da 18 imprese. L’area più rilevante è l’infettivologia con 37 farmaci, seguita dall’area cardiovascolare ed ematologia (22) e dalle malattie metaboliche, epatiche ed endocrine (20). Si evidenza una prevalenza di vaccini (34) e di proteine ricombinanti (31).
Dei 109 farmaci disponibili, 20 hanno ottenuto la designazione di farmaco orfano e riguardano prevalentemente patologie connesse a malattie metaboliche, epatiche ed endocrine (7) e malattie infettive (7).
Le micro e piccole imprese (114) sono soggetti importanti perché tendono alla specializzazione in Fase di discovery e in aree terapeutiche di nicchia. In termini di attività industriale, si registra un aumento del fatturato complessivo del 5,6% (283 milioni) ed una contrazione (-2,7%) del numero di addetti in R&S (712 unità). Gli investimenti in R&S sono cresciuti del 3,2% attestandosi a 287 milioni (pari al 20,4% del totale). La strategia di impresa più adottata si conferma essere quella orientata alla pipeline e la partnership la forma di accordo preferita. L’autofinanziamento e i finanziamenti pubblici rappresentano invece le principali fonti utilizzate per il sostentamento delle relative attività.
Le medie imprese (29) hanno assistito ad una riduzione degli investimenti in R&S fino a 213 milioni (-1,4%) con un fatturato pari a 479 milioni in Italia e 900 dipendenti occupati in R&S. In prevalenza orientate alla pipeline (45%) e alle competenze (37%), utilizzano soprattutto partnership quali strategie di accordo, mentre a livello fonti di finanziamento le scelte risultano eterogenee.
Le grandi imprese (32) confermano il proprio ruolo di traino: la fotografia della loro pipeline, complessivamente composta da 186 progetti, evidenzia la presenza di 79 progetti in Fase III e 59 in Fase II. Tali imprese, che generalmente autofinanziano le proprie attività e sono interessate ad accordi di in-licensing e co-licensing, sono rilevanti in tutte le dimensioni di analisi: in termini di fatturato (5.290 milioni), di investimenti in R&S (910 milioni) e di addetti impiegati in R&S (3.234 unità).