La settimana scorsa ad Amsterdam si è tenuto l’International Liver Congress 2013: dall’importante Congresso annuale, come sempre organizzato dall'European Association for the Study of the Liver, sono emerse molte novità, molte delle quali riguardano la cura dell’epatite C. Molti gli studi su farmaci prodotti da diverse aziende; grandi le aspettative per la nuova generazione di medicinali che secondo molti riuscirà finalmente a sconfiggere la malattia, che in Italia colpisce quasi due milioni di persone e determina la causa di centinaia di trapianti di fegato. Abbiamo chiesto a
Stefano Vella, direttore del Dipartimento del Farmaco dell’Iss, di fare un po’ il punto della situazione: quando arriveranno i nuovi farmaci? E saranno veramente risolutivi?
“In questi ultimi anni si è innescata una vera e propria rivoluzione nella cura dell’epatite C”, ha esordito Vella, da noi raggiunto telefonicamente. “Una rivoluzione che si è fatta in laboratorio e che potrebbe portare a una vera e propria cura della malattia. Il virus dell’epatite C infatti, ha un grande pregio rispetto ad esempio a quello dell’Hiv: se si riesce a mantenere sotto controllo, ovvero se se ne riesce a bloccare la replicazione, abbastanza a lungo, questo muore e si guarisce totalmente. I farmaci utilizzati fino ad oggi permettevano di raggiungere questo scopo, ma la cura era faticosa e lunga. Ma al momento ci sono in studio molecole che mirano al virus in maniera più intelligente, che agiscono più in fretta e che hanno modalità di somministrazione più comode”.
Una rivoluzione – come già accennato – che potrebbe portare all’eradicazione completa del virus.
“A lungo, gli unici farmaci disponibili erano l’interferone e la ribavirina, che rappresentano ancora oggi la terapia standard: si tratta di due farmaci che curano una percentuale piuttosto buona di pazienti, ma che soprattutto sui genotipi più resistenti funzionano solo con una terapia molto lunga; inoltre, queste molecole non sono particolarmente efficaci nel caso in cui la malattia sia già in stato avanzato e soprattutto hanno una modalità di somministrazione piuttosto scomoda, che fa sì che molti pazienti abbandonino il trattamento dopo qualche mese”, ha spiegato Vella. “Parte di questi problemi sono stati affrontati e risolti con l’introduzione di due nuovi farmaci oggi disponibili anche in Italia: telaprevir e boceprevir, che aggiunti alla terapia standard hanno aumentato la probabilità di guarigione. Tuttavia, con queste molecole permangono le difficoltà relative alla somministrazione, poiché sono comunque utilizzate in aggiunta a interferone e ribavirina”.
Ma qualcosa può cambiare. “Questi farmaci sono i capostipiti di una lunga serie di sostanze che potrebbe cambiare la storia del trattamento dell’epatite C”, ha continuato. “La nuova generazione di molecole che è attualmente in studio si usa in terapia combinata: somministrati nelle giuste combinazioni permettono di eliminare il trattamento standard e i suoi problemi e di arrivare forse addirittura al 100% dei casi di guarigione. Farmaci di questo tipo potrebbero essere approvati e sul mercato già dal 2014, visto che sono già in studio in sperimentazioni di fase II e III”.
Certo, questi farmaci una volta in vendita non costeranno poco, ha precisato l’esperto. “Tuttavia bisogna fare un ragionamento a lungo termine – ci ha detto – simile a quello che è stato fatto con la terapia antiretrovirale per l’Aids: trattamenti di quel tipo hanno costi abbastanza alti nell’immediato, ma fanno risparmiare moltissimo sul lungo termine. Così pensiamo succederà anche per la nuova classe di farmaci contro l’epatite C: da una parte questi potrebbero evitare un grande numero di trapianti; dall’altra, nel caso in cui i danni epatici dovessero essere troppo grandi da non permettere di aggirare l’intervento, cancellerebbero tutte le possibilità che a seguito dell’operazione ci sia una ricaduta per la malattia, magari per via di scorte di virus “silente” che si riattivano dopo il trapianto”.
Anche per monitorare questo tipo di ripercussioni a lungo termine, nonché per osservare benefici e possibili problemi derivanti dall’uso di questi nuovi farmaci, l’Iss ha perciò pensato un grande progetto di ricerca che ha proprio l’intento di monitorare le terapie per l’epatite C. “Si tratta dello studio PETER, uno studio pubblico coordinato dal nostro istituto, sponsorizzato da società scientifiche del calibro di AISF e FIMIT e finanziato anche coi fondi del Ministero della Salute. Un esempio importante di lavoro congiunto delle istituzioni pubbliche e dei professionisti delle società”, ci ha spiegato Vella. “Il progetto ricorda altri studi partiti in tutto il resto d’Europa: è uno studio osservazionale di coorte che dovrebbe durare 10 anni, e coinvolgerà 150 centri – ovvero quasi tutti quelli che si occupano del virus – e almeno 15 mila pazienti. L’idea è quella di seguire l’impatto dell’introduzione di nuovi farmaci sulla cura della patologia: una ricerca di outcome, che ci dirà quanti saranno i pazienti guariti nel tempo e che scoverà eventuali problemi dei nuovi farmaci, e che sarà utile per fornire dati importanti anche a livello europeo”.
E che soprattutto potrà essere utile ai decision maker, nell’ottica di eradicare l’epatite C dal paese. “La malattia fa un po’ meno paura dell’Aids anche perché è sconosciuta, ma invece ha costi elevatissimi sia sul piano sociale che su quello più strettamente economico, basta pensare al costo della disabilità e ai soldi necessari per portare a termine un trapianto di fegato. Nuove risorse e nuove informazioni ci aiuteranno a vincere”, ha concluso il professore. “Non abbiamo ancora cambiato la storia di questa malattia, ma sicuramente la cambieremo”.
Laura Berardi