Tra i molti temi che saranno affrontati a partire da oggi in occasione dell’XI Conferenza Internazionale sulla distrofia muscolare di Duchenne e Becker (
segui qui la diretta web), organizzata da Parent Project Onlus, ci sono solo quelli che riguardano cure, terapie e ricerca: la scienza in campo biomedico fa grandi passi in avanti in breve tempo, e oggi sono tanti i trial aperti a livello internazionale, e grande l’attività di studio per questa malattia rara. Tutto ciò, com’è giusto, alimenta la speranza dei pazienti e delle famiglie. Ma forse questo non basta, quando il problema diventa la disparità di accesso alla cura, e quando le difficoltà insorgono per via della disomogeneità nella presa in carico del paziente.
Abbiamo chiesto a
Filippo Buccella, presidente di Parent Project Onlus, di spiegarci quali sono i problemi che incontrano oggi i professionisti che si dedicano alla cura delle persone affette da distrofia di Duchenne, al di fuori di quelli che riguardano la ricerca. “Il problema principale per noi oggi è il titolo V della costituzione: il federalismo. Come si può immaginare lo spezzettamento dell’assistenza su base regionale è ancora più grave per le malattie rare, perché il numero di pazienti è piccolo e dare un’omogeneità nell’assistenza diventa quasi follia”, ci ha spiegato Buccella, contattato per via telefonica a margine della Conferenza. “Si sarebbe forse potuto evitare questo tipo di difficoltà mantenendo un osservatorio nazionale, o un istituto nazionale – e bastava fosse l’Iss – che poteva assumere il ruolo di ‘legislatore delle malattie rare’, stabilendo per esse e quindi anche per la Duchenne una regola nazionale, con protocolli e modalità simili su tutto il territorio, con un controllo nazionale, e lasciando magari poi la sola gestione dell’accesso alla cura alla regioni. Da effettuare però secondo quella regola”.
E invece oggi è tutto più complicato. “Abbiamo una situazione paradossale per la quale alcuni centri offrono alcuni ausili, che quelli vicini non hanno”, ci ha spiegato ancora il presidente di Parent Project. “E questo problema si moltiplica, dai primi anni in cui viene fatta la diagnosi, per tutta la vita. Ad esempio, non esiste un centro unico per la diagnosi genetica, al sospetto della malattia – che in fase iniziale ha sintomi e caratteristiche che possono essere facilmente sottovalutati da chi non conosce bene la malattia, come la forma particolare dei polpacci, o confusi con altre patologie, come una leggera difficoltà a salire le scale o a stare in piedi – il percorso è diverso a seconda della ‘fortuna’ che si ha: se il medico riconosce subito la malattia ed indirizza il paziente ad un centro specialistico il percorso di presa in carico è breve, altrimenti inizia un percorso lunghissimo che può protrarsi per mesi se non anni”.
Senza contare poi altri problemi diagnostici. “La diagnosi genetica in molti casi è fatta ‘in casa’, ovvero con il kit che contiene solo le mutazioni più comuni: non solo non si avvale delle tecniche più recenti e precise usate ormai in tutto il resto del mondo come la MLPA, ma talvolta non riconosce alcune delle mutazioni più rare che può presentare il singolo paziente”, ha aggiunto. “Come si può immaginare, tutto ciò triplica i tempi e raddoppia i costi, se pensiamo che nell’Università di Ferrara, che è all’avanguardia e ha un’équipe che collabora con centri internazionali, in un mese si possono ottenere le diagnosi per le mutazioni più comune e in sei mesi per quelle più rare”.
In più c’è il problema della vera e propria presa in carico del paziente. “Se ci fosse un centro a livello nazionale potrebbero essere adottate le Linee Guida del 2010: si avrebbe un protocollo di trattamento omogeneo per tutti i pazienti, il trattamento con gli steroidi, la fisioterapia domiciliare, tutti farebbero le stesse analisi e controlli, tutti accederebbero alla prevenzione cardiaca quando necessario, e così via”, ha spiegato ancora Buccella. “In questo modo la malattia potrebbe essere seguita tranquillamente addirittura dal medico di famiglia per tutta la vita, al massimo col supporto di un professionista specializzato a livello nazionale, contattato se necessario anche semplicemente per via telefonica. Riducendo molto i costi”.
Per ora a sopperire a tutto ciò, con grande difficoltà, sono le associazioni dei pazienti. “L'associazione sostituisce la guida da parte dei centri di riferimento: siamo noi a ‘prendere per mano’ il paziente al momento della diagnosi, a spiegare cos’è questa malattia ai parenti, a descrivere tutti i problemi che potrebbero esserci, a prepararsi ad essi”, ha spiegato il presidente di Parent Project. “In più, sono le stesse associazioni a sottolineare l’importanza del sostegno psicologico. Noi ad esempio abbiamo due psicologhe esperte che si mettono in contatto con le risorse del territorio, che possono in questo modo seguire le famiglie in un percorso che per loro è molto difficile: da piccoli i bambini affetti da Duchenne sembrano sani, ma quando viene loro diagnosticata una malattia degenerativa rara come questa, i genitori impiegano tempo a capire cosa devono fare e come farlo”.
Come se non bastasse, poi, arriva un Piano Nazionale per le malattie Rare che agli esperti sembra assolutamente obsoleto. “Siamo delusissimi dalla bozza del nuovo Piano per le malattie rare”, ha concluso Buccella. “Ci aspettavamo affrontasse anche tutte queste tematiche difficili finora descritte, e invece così non è. Il primo Piano era stato stilato già nel 2003 quando l'Europa richiese un’azione per limitare la diffusione e il peso sociale ed economico di questo tipo di malattie: oggi il ‘nuovo’ piano sembra non affrontare e tantomeno correggere i difetti riscontrati in questi ultimi 10 anni. In più, come già nel 2003 non ci sono finanziamenti, e quindi non si capisce come il Piano potrà essere applicato. Per questo stiamo già pianificando delle azioni di protesta da mettere in campo nei prossimi mesi, sperando di riuscire a cambiare qualcosa, e a smuovere questa situazione esasperante”.