29 luglio -
Gentile Direttore,
il racconto dice, ci sono tre uomini in chiesa: il primo si inginocchia perché crede in Dio, il secondo lo fa perché lo fanno gli altri, il terzo non si inginocchia perché non crede in Dio, non crede negli altri e pensa di credere in se stesso, ed è lì solo perché cerca qualcosa, non pensa di essere figlio di Dio ma figlio di se stesso, ed è entrato solo perché qualcosa glielo dimostri. Dei tre, è il più fragile perché non c’è nulla che lo sostenga a lungo, anzi, invidia il primo perché ha fede e lo definisce bigotto, invidia il secondo perché non ha personalità, definendolo omologato e qualunquista e, in fondo, non stima nemmeno se stesso perché in fondo all’anima sa di non avere argomenti. Sto parlando della categoria degli scettici, quella che in questa epoca è diventata il fronte dei non vax, dei no tav, dei no qualsiasi cosa sia soprattutto no.
Cosa c’è di più razionale, ragionevole e ragionato della Medicina? Eppure, sono in tanti a non crederci, nonostante tutto, nonostante le prove incontrovertibili della ricerca e dei risultati basati sull’evidenza. Prima regola del dibattito è non cadere nella polemica come se la discussione dovesse stabilire solo chi è cretino e chi no. Non è questo il punto. Bisogna capire la direzione del vento per sapere da dove viene la pioggia.
Il rapporto tra medico e paziente, non è un rapporto alla pari: il primo ha il dono della sapienza tecnica, il secondo ha la disgrazia di avere una malattia, la perdita cioè, di quella integrità che gli faceva credere di essere invulnerabile: calare le braghe davanti ad un proprio simile è una resa. A quel punto, nella tua indecenza di malato, hai due strade: o ti fidi del tuo medico o rifiuti la malattia.
Il medico deve essere bravo, in una cosa, soprattutto, essere tuo alleato, non solo competente ma compassionevole, nel senso latino del termine: compatisco: sento con te, sento il tuo dolore. Chi ha perso fiducia nella medicina, è il più fragile dei tre uomini in chiesa, quello che non si inginocchia perché cerca una autorità perduta. Autorità che noi medici abbiamo perso e non sappiamo più trasmettere perché litighiamo in TV, ci parliamo addosso, esprimiamo dissensi con i nostri colleghi davanti ai pazienti, anziché risolvere la questione nella sede più giusta della ricerca e nei laboratori, giochiamo con la politica e con la lotteria dei consensi, prestiamo la nostra faccia ai partiti e ai giornali per puro presenzialismo, rilasciamo interviste quando sarebbe opportuno uno strategico e dignitoso silenzio nella pericolosa fame di verità di cui la gente ha bisogno e, invece. ne facciamo spettacolo per gli allocchi. Invochiamo lo spirito di Voltaire per quella enorme luce di razionalità che è l’illuminismo, dimenticando che una pandemia è il regno delle ombre e dei fantasmi dove conta più la paura che la ragione.
Quando un bambino piange nella notte, perché ha paura del buio, o accendi la luce oppure ti avvicini e gli parli con tenerezza. In questa pandemia non possiamo accendere la luce perché non sappiamo ancora dov’è l’interruttore, ce lo dirà la Scienza che è una disciplina umana perfetta perché impara dai propri errori. Possiamo però ritornare ad essere medici curando la peggiore delle malattie del nostro secolo: la paura. Quella dei no vax, il “terzo uomo” in chiesa.
Enzo Bozza
Medico di base
Vodo di Cadore