28 luglio -
Gentile direttore,
vale forse la pena di ricapitolare in maniera semplice ed accessibile anche ai non addetti ai lavori, per stimolare una riflessione spesso ostacolata dalla confusione della ossessiva comunicazione mediatica, alcuni numeri della pandemia da Covid-19 che rischiano di disperdersi nel vortice dei talk-show e delle fake news.
Ci sembra utile, in particolare, prendere in considerazione l’andamento del numero dei deceduti, che sicuramente è il dato più drammatico e l’indicatore più significativo della gravità dell’infezione sia perché si tratta di un numero di gran lunga superiore a quello dei deceduti per tutte le malattie infettive ancora diffuse nel nostro continente sia perché riguarda soprattutto persone già bisognose di particolari attenzioni umane, assistenziali e sanitarie, cioè gli anziani appartenenti alle classi di età più avanzate.
Basti pensare che se i deceduti a seguito dell’ultima epidemia di influenza stagionale sono stati circa 8.000, pari all’uno per mille, su 8 milioni circa di contagiati, i deceduti per Covid-19 sono stati, ad oggi, molti di più, circa 130.000, pari al 30 per mille, su 4.317.415 casi totali (R. Buzzetti, ISTAT, Dati sull’andamento dell’epidemia Covid-19, Report periodico su dati della Protezione civile).
Se la esponenziale espansione della diffusione del contagio non fosse stata bloccata dai vaccini e dalle regole di un severo distanziamento sociale il numero dei contagi avrebbe potuto essere registrato nell’ordine di alcune decine di milioni con un numero di deceduti di diverse centinaia di migliaia.
L’esame della distribuzione dei decessi fra vaccinati e non vaccinati dimostra, se ce ne fosse ancora bisogno, la estrema e subdola pericolosità del virus, da una parte, e nonostante le asserzioni di una minoranza di persone che rifiutano la realtà, l’efficacia del vaccino, dall’altra. Il numero dei deceduti, ammonta infatti a 31,90/100.000 persone non vaccinate versus 1,44/100.000 persone sottoposte a ciclo completo di vaccinazione e a 7,47/100.000 persone alle quali era stata somministrata soltanto la prima dose (R. Buzzetti, ISTAT, Dati….). Tali dati inducono ad attribuire agli effetti della vaccinazione, anche se dovremo attendere la ripresa autunnale per una definitiva valutazione, la significativa riduzione dei principali indici di diffusione e di gravità della malattia con particolare riguardo al numero dei decessi.
Questi risultati, che non sono affatto definitivi perché lo scopo finale della vaccinazione deve essere la eradicazione della malattia contagiosa e la estinzione della mortalità ad essa legata, come è avvenuto nel caso del vaiolo e di altre malattie infettive, costituiscono tuttavia una convincente dimostrazione dell’efficacia del vaccino.
Si deve considerare, peraltro, che l’uso del vaccino, pur essendo stato autorizzato dopo una sperimentazione scientifica protocollare è stato sottoposto in condizioni di emergenza al banco di prova della somministrazione di massa, la sola che consenta di osservare la sua efficacia reale e gli effetti collaterali rari e rarissimi.
Il vaccino inoltre è stato impiegato con una strategia assai discutibile in quanto non sono state vaccinate con la dovuta tempestività le categorie più a rischio, cioè le persone con età superiore ai 70 anni, delle quali circa 1.500.000 non hanno ricevuto, ad oggi, alcuna dose di vaccino. Solo dopo queste, e in rigoroso ordine di anzianità, avrebbero dovuto essere vaccinate le persone appartenenti alle altre classi di età e i soggetti “fragili” con gravi patologie o anomalie. Ciò ha probabilmente comportato un numero di decessi che avrebbero potuto essere evitati.
Permangono certo le incognite dei comportamenti delle cosiddette varianti o addirittura il rischio della possibile comparsa di nuovi, più pericolosi virus, ma resta anche la consapevolezza della disponibilità di un efficiente apparato scientifico e tecnico in grado di fronteggiare altre, non meno difficili sfide.
Nella speranza che tutto ciò possa accadere nell’ambito di un più ordinato sviluppo della nostra società dei consumi.
Girolamo Digilio
Già Primario e Docente di Clinica Pediatrica, Università La Sapienza, Roma