15 febbraio -
Gentile direttore,
è di questi giorni la notizia che la
Regione Abruzzo, dopo Marche e Umbria, si schiera contro il regime ambulatoriale per l’IVG farmacologica, comunque fortemente ostacolata in molte regioni italiane. Sulla scia delle gigantografie che tappezzano molte nostre città, la litania è la stessa: si vuole tutelare la salute delle donne, proteggendole dai rischi di una metodica che si considera pericolosa.
E questi rischi, incredibile a dirsi, vengono paventati proprio da chi governa la sanità pubblica in regioni che hanno la più bassa percentuale di IVG farmacologiche, dunque proprio da chi, in proposito, ha un’esperienza limitatissima. L’ultima relazione del Ministro della Salute sullo stato di applicazione della legge 194 ci dice infatti (dati definitivi relativi al 2018) che, a fronte di una percentuale nazionale del 20,8% (comunque la più bassa in Europa), nel 2018 in Umbria le IVG farmacologiche sono state il 4,7% del totale, nelle Marche il 6,4% e in Abruzzo il 7,7%.
Vale la pena di ricordare, a questi solerti amministratori, che la Salute pubblica ha in primo luogo il dovere di garantire a cittadine e cittadini i migliori standards clinici, basandosi sui dati di evidenza scientifica. Dati abbondantemente riportati nella relazione del Consiglio Superiore di Sanità, che sottolineano come il regime ambulatoriale sia sicuro ed efficace. Va ricordato, inoltre, che in tempo di pandemia SARS CoV-2 l’orientamento generale è di puntare alla deospedalizzazione delle procedure, al fine di ridurre il rischio di contagio. In molti altri paesi europei, proprio a questo proposito, sono stati ampliati i limiti di età gestazionale per la procedura “at home” e si è aperto alle procedure seguite completamente da remoto con servizi di telemedicina.
Colpisce, inoltre, che gli amministratori abruzzesi, che si oppongono alla ivg farmacologica in regime ambulatoriale in nome della tutela della salute delle donne, non siano altrettanto preoccupati del fatto che nella loro regione le IVG chirurgiche vengono ancora fatte per il 27,5 con il raschiamento, metodo pericoloso per la salute e la futura fertilità delle donne.
Per non parlare dell’anestesia generale, che viene utilizzata nell’83,89% delle IVG chirurgiche.
Siamo, purtroppo, sempre alle solite: l’ostilità feroce e gli ostacoli alla procedura farmacologica non hanno mai riguardato infatti la sua sicurezza e la sua efficacia, ma hanno avuto sempre esclusivamente motivazioni ideologiche e politiche, che nulla hanno a che vedere con la medicina e la buona pratica clinica. Inutile ricordare, dunque, agli amministratori abruzzesi, che l’OMS ha inserito mifepristone e misoprostolo nella lista dei farmaci essenziali già nel lontano 2005, così come è inutile ricordare l’esperienza ormai più che decennale degli altri paesi, nei quali l’IVG farmacologica è una procedura “at home” nella gran parte dei casi.
L’ostilità è ideologica, dunque, tutta rivolta contro una importante rivoluzione nel campo della salute riproduttiva che, come fu per la pillola contraccettiva, ha forti ricadute nel campo dei diritti delle persone. Una procedura rivoluzionaria perchè vede le donne soggetti attivi, perchè riconosce loro piena capacità decisionale, perchè dà loro pieno diritto di cittadinanza.
La circolare del Ministro della Salute, che ha aggiornato nell’agosto scorso le linee di indirizzo per la IVG farmacologica, riconosce nel consultorio un luogo privilegiato in questo ambito, per la presenza di una equipe multidisciplinare che lavora di concerto per la salute della donna. L’assessora abruzzese Verì ritiene i consultori della sua regione non sufficientemente attrezzati per assolvere a questo impegno. Ci aspetteremmo, da parte sua, un impegno forte e reale per superare questi limiti, non per limitare il diritto di scelta delle donne.
Anna Pompili
Ginecologa di AMICA (Associazione Medici Italiani Contraccezione e Aborto) e dell'Associazione Luca Coscioni