7 maggio -
Gentile Direttore,
da attenti lettori di Qs, abbiamo seguito il dibattito, al quale noi stessi abbiamo contribuito, che si è sviluppato a seguito dell’approvazione del
nuovo codice deontologico da parte della Fnopi. Considerato l’andamento della discussione, dobbiamo nostro malgrado interagire con le
obiezioni un po’ stonate che un sindacato, relativamente rappresentativo e in curiosa e costante sintonia con la Federazione, rivolge alla nostra organizzazione, rea di aver espresso alcune
perplessità sul nuovo codice e di aver segnalato il potenziale indebolimento che deriva per gli infermieri dalla cancellazione del famigerato Art. 49 del vecchio provvedimento Ipasvi.
In quella nota si ignora, o meglio si finge di ignorare, che la possibilità di dover svolgere attività complementari a quelle proprie del profilo di inquadramento deriva, per coloro che operano alle dipendenze di un’amministrazione pubblica, dal D. Lgs. 165/2001, dai contratti di lavoro che hanno recepito quel principio fin dal 1999 e, anche, da una giurisprudenza non univoca. Per rimanere ai lavoratori pubblici, lo stesso concetto di attività proprie dell’area professionale di appartenenza è stato spesso interpretato in maniera diversa a seconda del giudice, cosa che viceversa non è accaduta con il concetto di temporaneità.
Un contesto “instabile”, quindi, che nel tentativo di contemperare la giusta esigenza dei lavoratori (in questo caso degli infermieri) di praticare la professione per la quale sono stati assunti e per la quale si sono formati e quella dei datori di lavoro di poter disporre delle loro prestazioni in modo “flessibile” produce spesso iniquità e soprusi, soprattutto nell’attuale contesto di organici sotto soglia.
Per quanto riguarda gli infermieri che lavorano nel privato, evidentemente fuori dal raggio di interesse di quel sindacato, la situazione è ancora meno lineare giacché sono assoggettati all’articolo 2103 del codice civile, che in particolare nella sua nuova formulazione è assai poco rassicurante per quanto riguarda il demansionamento.
Non tener conto di questi elementi assumendo posizioni apodittiche, come si fa nell’intervento che parla di nostalgie della FP-CGIL, alimenta il dubbio che in realtà chi lo ha scritto auspichi un ritorno alla situazione antecedente, quella del rigido mansionario, che è effettivamente più coerente con la visione del lavoro ottocentesca che le posizioni espresse da quel sindacato cercano di far prevalere, ma che è lontana anni luce dall’evoluzione dell’organizzazione del lavoro e delle competenze (richieste e possedute) con cui in questi anni si sono dovuti misurare i professionisti della sanità nelle aziende.
Detto questo, ci piaccia o no, con l’attuale mix di norme e pronunciamenti bisogna fare i conti e a noi ribadiamo il sospetto che l’assenza all’interno del codice di un orientamento in materia proveniente dalla Federazione (certamente migliorabile rispetto ai contenuti dell’ex art. 49) porti con se il rischio di rendere i professionisti più deboli, non più forti. I fatti ci diranno se l’eliminazione di quell’articolo produrrà d’incanto la scomparsa di qualsivoglia contenzioso dentro alle aziende, o se le sentenze ondivaghe prodotte fino ad ora assumeranno d’ora in avanti un orientamento univoco: sinceramente ne dubitiamo, anche alla luce di alcuni pronunciamenti a noi favorevoli che hanno fatto leva proprio su quell’articolo nell’ambito di un’attività vertenziale che portiamo avanti da anni. Anche su questo fronte, infatti, come sanno bene le lavoratrici e i lavoratori del comparto nessuno si è inventato nulla.
Un’opinione, la nostra, diversa da quella espressa da altri e da quella della Federazione, che si può non condividere ma per la quale pretendiamo rispetto essendo, come testimoniano i dati Aran, l’organizzazione più rappresentativa nel comparto.
Quanto al refrain sul contratto nazionale che sentiamo ripetere stancamente, dovrebbe essere oramai evidente anche ai meno attenti come qualcuno abbia scelto di giocare il ruolo più facile: quello di chi è sempre il migliore allenatore della nazionale dal divano di casa. Scommettere sul fatto che le cose andranno peggio per poterci lucrare qualche tessera e qualche voto è un gioco che lasciamo volentieri a chi si accontenta di quello. Per quanto ci riguarda pensiamo a lavorare per mantenere gli impegni che ci siamo assunti con le lavoratrici e i lavoratori del comparto quando abbiamo firmato il contratto. C’è da costruire una revisione del sistema di classificazione che offra finalmente opportunità di riconoscimento dello sviluppo professionale e delle competenze ai loro diversi livelli, ci sono da cambiare le intenzioni dell’attuale governo sul finanziamento destinato al rinnovo dei contratti argomento sul quale, certo per nostra distrazione, c’è sfuggita la veemente reazione di mobilitazione promossa da chi, in crisi di visibilità, polemizza con noi.
C’è parecchio da fare, dunque, su questioni che toccano la vita professionale quotidiana degli infermieri come degli altri lavoratori che operano in sanità: cose troppo serie per spendere tempo in polemiche strumentali.
Michele Vannini
Segretario Nazionale FP-CGIL
Sanità e Terzo Settore