12 dicembre -
Gentile Direttore,
con questo contributo desidero fare delle considerazioni che, mi pare, finora nessuno ha fatto sulla radiazione dall’albo dei medici dell’Assessore alla salute dell’Emilia Romagna. Anzitutto mi sembra doverosa una premessa: l’azione disciplinare com’è spesso esercitata dagli ordini e dai datori di lavoro è una “boiata pazzesca”. Affermo ciò in virtù della mia esperienza in entrambi gli ambiti.
Quella interna agli enti è per lo più una magistratura farlocca. Si esercita spesso in barba ai più basilari elementi di diritto perché il rapporto tra le parti (accusa e difesa) non è paritario. L'imputato può essere sanzionato anche se chiaramente non colpevole.
La sanzione disciplinare può essere data a prescindere e in modo ampiamente discrezionale. Anzi, già l'instaurazione del procedimento, che è già una forma di sanzione, avviene in modo discrezionale. Ogni difesa è spesso inutile e la decisione è già presa. Se non si è d'accordo si vada pure dalla magistratura ordinaria con dispendio di tempo ed economie.
Nel privato o nelle cooperative poi si verificano casi veramente assurdi e si è costretti a cedere onde evitare che ti inducano in errore successivamente.
Fatta la doverosa premessa, in merito alla radiazione dell’Assessore pongo le seguenti riflessioni:
1. La questione delle ambulanze con la presenza di soli infermieri è da almeno due anni che va avanti e il pensiero dell’ordine dei medici di bologna era già noto da tempo. Nonostante ciò la maggioranza degli iscritti votanti alle ultime elezioni ordinistiche ha ritenuto di condividere tale linea di pensiero e ha votato a favore della continuità. Quindi non è il dott. Pizza che ha radiato l’Assessore medico ma è la maggioranza dei medici iscritti all’ordine dei medici di Bologna che ha ritenuto non più degno di far parte della loro “comunità”. Quindi non me ne abbia l'assessore ma sono i suoi stessi colleghi, la sua categoria ad averlo radiato ritenendolo, evidentemente, non degno di esercitare la scienza medica che è cosa diversa dall’esercitare un’attività politica. Da questo punto di vista la radiazione è un problema suo personale la cui valutazione su ciò che comporterà per la sua futura attività la lascio a lui.
2. Per fare politica è necessario essere uomini liberi. I medici non lo sono. È questa l’amara realtà che emerge dai fatti di Bologna. La chiara lettura della radiazione è che se i medici fanno politica devono fare gli interessi di una classe, di una categoria, di un modo settoriale di vedere la sanità, pena pagare di persona mettendo in discussione la carriera professionale. I medici impegnati in politica non sono dunque uomini liberi, non possono fare gli interessi dei cittadini se questi non coincidono con quelli della categoria. Sappiano quindi i cittadini di questa “incompatibilità” e di questa mancanza di libertà, la libertà di compiere scelte nei loro interessi.
3. La politica sanitaria praticata da medici, secondo l’esito dell’ordine di Bologna, diventa così parte della medicina e l'amministrazione pubblica sottoposta non più al sistema democratico costituzionale bensì al potere disciplinare di un ordine sussidiario dello Stato. È come se un ministro avvocato dovesse attenersi agli interessi del suo ordine piuttosto che normare nell'interesse dei cittadini e magari contro gli stessi interessi dell’ordine degli avvocati. Fuori quindi i medici da cariche politiche. Questa è la logica conclusione per il bene della Repubblica. Il politico sia libero da condizionamenti e operi per il bene dei cittadini.
4. L’ordine dei medici di Bologna colpisce la persona, non l’atto amministrativo. La sanzione disciplinare della radiazione è inutile ai fini della validità dell’atto amministrativo. L'assessore è radiato, l'atto normativo rimane. Ai fini della correttezza e validità della delibera nulla ha inciso la radiazione. Se si riteneva illegittimo l’atto lo si impugnava ma qui non si è impugnato l’atto si è colpito chi ha contribuito a emanare l’atto. Qui non è in discussione la legittimità di avere ambulanze senza medico a bordo e con solo l’infermiere. Qui non c’è scontro tra professioni, qui assistiamo ad uno scontro tutto interno la professione medica. Per questo regolamento di conti ne deve rimettere il cittadino?
5. Per capire meglio l’inutilità di tale scontro basta vedere come si comportano le regioni dove l’Assessore alla salute non è un medico. Si prenda ad esempio il Veneto dove l'assessore alla sanità, fino a qualche giorno fa, è stato un geometra (ha guidato l'Agenas e ora è sottosegretario alla salute), in Lombardia l'assessore è un avvocato. In queste due regioni cosa può l'ordine dei medici contro le scelte politiche di questi assessori? Possono mai colpire le persone? Tutte le professioni sanitarie sono al servizio del cittadino, tutte con pari dignità senza l'egemonia di una sulle altre. Le scelte politiche saranno giudicate dal punto di vista politico ed eventualmente normativo dalla magistratura ordinaria. Ma nessuno deve sentirsi sotto ricatto.
Con queste riflessioni rivendico dunque la necessità di una libertà politica che miri al bene dei cittadini. Pertanto, ritengo, urgente un intervento di questa politica non subordinata alla medicina a chiarimento del ruolo delle varie professioni nel sistema sanitario nazionale. Ciò vale anche per chi ritiene che il contratto di lavoro sia il luogo dove definire questo ruolo. Attenzione: il prossimo fronte di scontro potrebbe essere questo. Sarebbe bene disinnescare la bomba prima che esploda.
Andrea Bottega
Segretario nazionale Nursind