6 giugno -
Gentile direttore,
sono un paio di giorni che sto facendo delle considerazioni, sono a seguito di un corso che ho fatto a Roma, organizzato dall'APSILEF, Associazione Professioni Sanitarie Italiane Legali e Forensi. In una zona dell'Emilia Romagna, il personale impegnato nelle emergenze sanitarie si forma insieme alle forze dell'ordine.
Il corso è in palestre, la formazione è molto pratica, dove una persona rappresenta il cittadino agitato, le forze dell'ordine, insieme ai sanitari (infermieri, medici ecc.) cercano di immobilizzare il cittadino.
La tecnica sarebbe mirata ad evitare che il cittadino, durante l'immobilizzazione, che notoriamente avviene in posizione prona, possa perire per soffocamento, arresto cardiaco e/o altro. Nel contempo le attività sono mirate anche alla salvaguardia del personale coinvolto nell'intervento di emergenza. I cittadini agitati potrebbero esserlo per molte ragioni, dalla droga, alcool, patologie cerebrali anche non accertate ecc. Va salvaguardata la vita dei cittadini, senza tralasciare la vita degli operatori coinvolti nell'emergenza.
Dopo il suddetto corso, ho guardato i telegiornali con occhi diversi.
Forse si dovrebbe analizzare il problema in modo più approfondito, nell'interesse di tutti, cittadini, Forze dell'ordine e Sanitari? Si può fare! Ma si può fare meglio!
Le lezioni dovrebbero essere pratiche, possibilmente basate sul problem solving, che è il complesso delle tecniche e delle metodologie necessarie all'analisi di una situazione problematica allo scopo di individuare e mettere in atto la soluzione migliore. Le lezioni dovrebbero essere cicliche e costanti.
Si parla di tutto, ma, non di questo! Quanti sono i cittadini "agitati" deceduti per un intervento in emergenza? Quanti sono stati gli operatori aggrediti, recentemente, durante un emergenza? Quanti sono i professionisti sanitari lasciati alla libera iniziativa, costretti ad improvvisare?
Il personale addetto all'emergenza dovrebbe essere costituito da personale formato, professionisti con esperienza costante, ma assolutamente non precari. Personale pagato poco e male, che quindi se ne va alla prima occasione migliore. Forse è ora di dare termine a questa mattanza?
Laura Rita Santoro
Coordinamento Regionale Nursing Up Lazio