2 novembre -
Gentile Direttore,
fumare fa male, lo si è capito sin dai tempi di Re Giacomo I (“A Counterblaste to Tobacco” - 1604). Fa ammalare e fa morire, senza alcun beneficio esclusivo in cambio. Non ci sono più dubbi. Il tabacco fa solo bene a chi lo produce. La dipendenza da fumo e surrogati fa solo bene a chi ne fa commercio.
È un vizio inutile e dannoso. L’invito a smettere da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità è perentorio. La TFI (
Tobacco Free Initiative) delinea con chiarezza le raccomandazioni da seguire:
· I governi e i parlamenti devono favorire il cambiamento sociale e ambientale tramite la legislazione sanitaria.
· I sistemi sanitari devono incoraggiare e sostenere i tabagisti nello sforzo di smettere.
· La comunità scientifica deve promuovere lo scambio e la diffusione della conoscenza sulla pericolosità del tabagismo.
Come operatore sanitario, mi ritrovo ad adempiere il secondo punto. Nel confronto col paziente che accusa evidenti danni da fumo, chiarisco subito la necessità di smettere.
Il mio invito a tali pazienti è “L’ultima sigaretta? C’è già stata. Ora che è qui e soffre, ne approfitti per smettere: ha tutto da guadagnare, lei e chi le sta attorno. Nessun medicinale le restituirà anni di vita bruciati. Smettere, sì.”
Ma questo mio accorato ragionamento cozza subito con una triste evidenza: molti, troppi operatori sanitari fumano. E i pazienti se ne accorgono appena escono a prendere una boccata d’aria (o di fumo).
Se per un sanitario fumare è contraddittorio, farlo in servizio è diseducativo.
Persino in oncologia e in pneumologia ho incontrato colleghi accaniti fumatori...e ho detto tutto!
Questa è la morte dell’educazione alla salute. È la morte della prevenzione.
Un operatore sanitario che fuma perde di credibilità e fa perdere la fiducia al paziente, minando sul nascere l’alleanza terapeutica. Alleanza che si riduce a questo: “...mi fa accendere, dottore?”
Ivan Favarin
Infermiere