31 gennaio -
Gentile Direttore,
in tempi di crisi godere di buona salute è una gran fortuna e prevenire le patologie, curarle e guarirne non è più privilegio di tutti. Nel 2012 in Italia la percentuale di individui a rischio povertà o esclusione sociale è salita al 29,9%, quota più alta tra i paesi europei a eccezione della Grecia (34,6%), ed è un fatto che nel gruppo a rischio povertà ci si ammali e si muoia di più.
I dati epidemiologici ci raccontano, infatti, che il rischio di morire cresce con l’abbassarsi del titolo di studio: la mortalità cresce del 16% nel caso la persona abbia conseguito la maturità, del 46% per le medie e del 78% per le elementari rispetto ad un laureato. Tra le persone con un basso livello economico si osserva un eccesso di mortalità per patologie cardiovascolari tre volte maggiore rispetto a coloro che appartengono ad un livello socioeconomico medio-alto, un incidenza di disturbi psichiatrici doppia e vi è una probabilità di ricovero ospedaliero maggiore per patologie croniche (BPCO, asma bronchiale, scompenso cardiaco, ovvero condizioni per cui il ricovero è evitabile con adeguata prevenzione).
E’ indubbio che fattori individuali, comportamentali e di contesto abbiano un ruolo preponderante nel determinare le diseguaglianze in salute ma il definanziamento del sistema sanitario nazionale (ricordiamo che la spesa sanitaria pro capite italiana è la più bassa d’ Europa) sta progressivamente creando iniquità anche nell’ accesso ai servizi e alle cure.
Già nel 2011, l’indagine EU Statistics on Income and Living Conditions (EU-SILC 2011) dimostrava come vi fosse una importante discrepanza nel benessere psicofisico percepito tra le diverse classi di reddito con uno scarto di ben 20 punti percentuali (per l’Italia) tra la fascia a minore e quella a maggior reddito. La stessa analisi riportava come fabbisogni non soddisfatti di cura fossero da attribuire, per le classi economiche basse, al costo delle stesse, mentre, per le classi economiche più agiate, alla mancanza di tempo. Nella comparazione con gli altri paesi europei, nel 2011, in situazioni peggiori dell’Italia, versavano solo Ungheria e Polonia.
Secondo il recentissimo rapporto Eurispes 2017, il 38% dei cittadini ha ridotto le spese mediche, il 31,9% ha rinunciato alle cure odontoiatriche ed il 17.5% all’acquisto di farmaci, mentre il 10% ha dovuto chiedere un prestito per potersi curare. Ancora: il 25.7% degli assistiti si rivolge al privato per le visite specialistiche e accertamenti diagnostici, sia per aggirare le lunghe liste d’attesa, sia perché i ticket sono oramai così alti da spingere verso un privato sempre più low cost. I pazienti che optano per il pubblico lo fanno accettando tempi di attesa eccessivi: disagio questo lamentato dal 75,5% dei pazienti. La minor disponibilità di reddito incentiva un maggior ricorso alla sanità pubblica in particolare per gli interventi chirurgici, piuttosto costosi in ambito privatistico, ma proprio per gli interventi chirurgici ben il 53,2% dei pazienti riferisce di aver dovuto attendere troppo. Di fatto più di metà degli italiani non è soddisfatto della sanità, percentuale che al Sud supera il 70%.
Per il Censis, nel 2016 sono 11 milioni gli italiani costretti a posticipare le prestazioni o a rinunciare del tutto alle cure per problemi economici , tra questi in particolare gli anziani e i nati tra la metà degli anni Ottanta e i primi anni del Duemila, quindi i giovani spesso senza un posto di lavoro.
A quanto esposto, si aggiunge che dai nuovi Lea, recentemente approvati, non arrivano buone notizie. Nella previsione di bilancio è prevista una riduzione di spesa dell’assistenza ospedaliera che impatterà per circa 20 milioni di euro. Questa riduzione è da attribuire al passaggio di alcune prestazioni dal regime di ricovero o di Day hospital, al regime ambulatoriale, dunque minor costo e maggior introito legato all’applicazione del ticket ambulatoriale.
Alcune regioni virtuose hanno già avviato questo processo, altre (soprattutto quelle in piano di rientro) dovranno prontamente adeguarsi. Non è contemplato però alcun aumento del personale sanitario dedicato all’accresciuta richiesta di attività ambulatoriale e sono dunque prevedibili problemi nel soddisfare l’aumentato fabbisogno dell’ utenza.
Date le considerazioni precedentemente esposte, è prevedibile che proprio la fascia di popolazione meno abbiente avrà ancor meno possibilità di accedere alle prestazioni ambulatoriali - per le lunghe liste di attesa o per problemi economici- e rinuncerà a curarsi o si rivolgerà al Pronto Soccorso, sia per ricevere assistenza sia perché, nell’attesa della visita, il quadro clinico si sarà semplicemente aggravato.
Si prospetta pertanto un ulteriore peggioramento dell’ intasamento cronico dei Pronto Soccorso, effetto della riduzione dei posti letto e della contrazione del personale avvenuta negli ultimi anni. La ragioneria dello Stato ci ricorda come nel 2015 via sia stata una perdita di dipendenti del SSN di oltre 10.000 unità e questa emorragia di capitale umano, unita all’incremento dell’età media del personale, all’aumento del precariato, alla contrazione della spesa per formazione ECM (tutti fenomeni legati al progressivo definanziamento del SSN) rischiano di determinare una despecializzazione delle risorse umane che operano in azienda.
L’equità è un elemento chiave della fornitura delle cure sanitarie, soprattutto in momenti di crisi. Garantire accesso alle cure solo nella condizione di “urgenza” non significa offrire equità di cura, sia perché può verificarsi un possibile aggravamento delle condizioni cliniche per la tardiva presa in carico rispetto ad una visita in regime ambulatoriale eseguita in tempo utile, sia perché l’ aumento degli accessi impropri determina aumento dei costi, utilizzo inappropriato delle risorse e sovraffollamento dei DEA.
Gentile Direttore, noi crediamo che la soluzione a quanto sopra sia tornare ad investire nella Sanità Pubblica, lavorare sulla prevenzione e credere nelle risorse umane (stop al blocco del turn over e stop al precariato). Altrimenti continueremo a vivere di emergenze, perché incapaci di pianificare e programmare.
Alessandra Spedicato
Direttivo Nazionale Settore Anaao Giovani
Chiara Rivetti
Segreteria Regionale Anaao Assomed Piemonte