8 gennaio -
Gentile Direttore,
la semplice lettura della bozza dell’accordo Stato Regioni sull’implementazione delle competenze e delle responsabilità dell’infermiere richiama in premessa le “novelle legislative”, che è alla base di disegni, invero anche futuri, e decreti e che non possono non stimolare reazioni del mondo medico, forti del convincimento che proprio essi, decreti e leggi, siano da interpretare prim’ancora che da applicare. Con questo la classe medica non può non rispondere a un adagio di demansionamenti, di scarsa considerazione e di mancato sviluppo professionale della professione medica, dimenticata dal legislatore in almeno un trentennio, dopo la Legge Mariotti e la 833/78. E non certo per isterie da casta pregiudizialmente opponente, come da certa parte si vuole far passare, ma perché mai coinvolta nelle scelte e posta di fronte a leggi che variano funzioni professionali a dispetto delle specifiche competenze in sanità. Scelte, bisogna dirlo, fatte ancor prima di una seria riflessione sulle reali necessità o sugli effetti che tali manovre comportino sul sistema e sui lavoratori del settore.
La bozza in questione avvalla e legittima la formazione statale-regionale del personale, definendo i profili e le responsabilità di una sorta di “professionista di Stato”, in barba alla formazione universitaria indipendente e alla prassi. Cosa ancor più grave, si perpetua l’adagio di decidere senza che vi sia un preliminare confronto con le istituzioni e le rappresentative mediche, peraltro citate come concordi, ottenendone, recentemente, puntuale smentita, come con il recente documento dell’intersindacale medica. D’altro canto, e la cosa si fa più delicata, la bozza dimostra come si non sia nemmeno rispettato il dettato costituzionale, in palese contrasto con l’art 117 del titolo V della nostra Costituzione, che non riconosce allo Stato e alle Regioni la formazione diretta e l’istruzione del cittadino, ma come ad esso sia dato, al punto “n”, il compito d’indirizzo attraverso “norme generali sull'istruzione”. In un momento di grandi cambiamenti e di incertezza, quali quelli attuali, ci si aspetterebbe chiarezza e concretezza e stona l’aspetto politically incorrect di legiferare, senza un vero, preliminare, condiviso progetto organico.
Fa ancor più specie perché si tratta di garantire la salute e si vanno a toccare le competenze su cui si regge il sistema, e ci aspetterebbe che, invece di creare tensioni fra i professionisti, si favorisse la collaborazione tra le varie professionalità. Piuttosto, cioè, che acuirne i contrasti con scelte perlomeno discutibili, se non improvvide, in tema di peculiarità, di responsabilità diversificate e di tutela della salute. In tutto questo i medici non ci stanno e si guardano bene dal fare una battaglia di retroguardia o agire per ”meri interessi di bottega”: solo, non accettano di entrare in una dinamica di conflitti derivante dalla politica di certe Regioni, nei risultata inidonea, anche se troppo semplicisticamente definita virtuosa e fruttuosa. Una politica che ha prodotto in questi anni un sovvertimento di strutture, equilibri e competenze, favorendo un cambiamento degli assetti lavorativi in modo non coerente con la pertinenza e la specificità della legittima formazione acquisita.
Su una cosa si può e deve concordare: ossia che la formazione sia da rivedere e attualizzare, perfezionando il processo di acquisizione delle competenze e non certo creando inutili e discutibili “doppioni professionali” in ambito medico e, per il futuro, infermieristico, oggi alle prese con le altre figure professionali non infermieristiche ma che ambiscono a diventarlo.
Nel sistema sanitario si deve convenire che l’acquisizione di nuove competenze comporti che le vecchie siano lasciate ad altre figure e che alla fine il risparmio sia aleatorio. Oggi non si tratta di far fare il medico a chi medico non sia, bensì di elevare la professione del medico e quella sanitaria, nella considerazione e nella sostanza, lasciando da parte artate politiche di conflitto categoriale che sarebbero motivate da scelte discutibili. Nella diversificazione degli assetti e delle competenze deve essere meglio definito però il concetto d’autonomia, che non può non essere se non “di scala” in un sistema coordinato : nell’ambito dei ruoli e delle funzioni, in una struttura organizzata e complessa, è necessaria la figura del coordinatore e ulteriori funzioni coordinate in scala. Da ciò ne discende a cascata il sistema di Responsabilità.
Scorrendo le dinamiche di questi ultimi anni pare che si giochi al Monopoli delle professioni e che il problema di fondo sia a chi spetti alla fine il ruolo di leader. Una situazione che è di per sé riduttiva e impropria, considerando che in un sistema complesso gli interventi debbano essere armonici e competenti e che ogni autonomia non sia assoluta e sia coordinata secondo i principi di buona gestione.
Il vizio del sistema è nell’assenza di un’ efficace politica sanitaria, che oggi sacrifica sull’altare dell’aziendalizzazione alte professionalità, attuando per il medico una sorta di maltrattamento normativo e economico. Una deriva dovuta alla nascita della dirigenza, al verbo degli ospedali per acuti o ai più recenti ospedali ad intensità di cura. Alla luce delle esperienze ci si aspetta di vedere i reali valori fra costi e benefici, e quale sia la risposta alla necessità del’ammalato per definizione, cittadino debole o fragile, talvolta dimenticato. Non si può considerare positiva una politica che non consente la ricopertura negli ospedali dei posti medici vacanti in organico, che perpetua i contratti a tempo determinato indecorosi dei medici, la riduzione dei posti nelle scuole di specializzazione, la riduzione dei posti letto, in controtendenza rispetto alla UE e alla reale necessità; e anche le dimissioni precoci con alti re-ricoveri per incompletezza e frettolosità delle cure, solo per liberare posti letto data l’alta necessità di richieste di ricovero. E tutto solo per risparmiare. Logica che pervade anche taluni interventi legislativi e lo stesso accordo Stato Regioni sulla valorizzazione di nuove competenze, fortemente influenzati dalle declinate esperienze regionali centro-nord-italiche che consegnano al mondo infermieristico competenze mediche pur senza requisiti formativi adeguati e certificati, sebbene soggette a intensa revisione interna.
In questo giocano un ruolo importante le critiche alla vecchia Accademia e l’Università è chiamata a cambiar pelle, divenendo Scuola di cultura e di adeguata formazione professionale, nell’equilibrio fra tradizione e modernità. E chiede credibilità e concretezza alla politica evitando derive legislative, che ingenerano non solo false aspettative ma che creano conflitti e ancor prima disagi. Ne è esempio non certo positivo il DL 1134 dal 16.12 u.s. in Commissione bicamerale delle commissioni congiunte II e XII, che tratta della sicurezza e della responsabilità professionale del medico e delle professioni sanitarie: di fatto va a definire indirettamente (ma non così nell’interpretazione) dinamiche professionali con definizione di funzioni e competenze non previste per le professioni sanitarie.
Partendo dal concetto comune di responsabilità, potrebbe non a torto allargare alle professioni sanitarie autonomia, diagnosi e terapia che sono prerogative del medico e, semmai approvato, la logica “dell’interpretazione” vorrebbe che per la prima volta una legge lo riconoscesse. Si deve evitare un simile adagio e meglio sarebbe riscrivere e diversificare gli articoli del DL1134, facendolo precedere in ogni caso da un progetto articolato e preciso.
Da tutto ciò si deve trarre un insegnamento che per mera logica di risparmio, che sta ispirando gli atti legislativi e le politiche regionali, si sta trascurando la professione medica e, per dirla tutta, ancor prima la qualità delle cure al cittadino debole e dunque si dimentica il valore del “bene salute”. E non valgono argomenti economici per giustificarlo, in quanto la buona economia è oggi garante della salute, considera in ogni caso l’indice di produttività del sistema sanitario laddove affermi che fa bene all’economia”. Proseguendo nel ragionamento non solo non va considerata una voce di spesa da inserire nella legge di stabilità, ma “come vero investimento”. Infatti una collettività in buona salute garantisce una forza lavorativa attiva e produttiva e in questo modo giova all’economia.
Economia e non economicismo, nella giusta considerazione e rispetto proprio del bene salute e dei professionisti.
Pierantonio Muzzetto
Presidente Omceo PR e Federazione degli Ordini dei Medici e Odontoiatri RER
Direttore Responsabile Giornale periodico Parma Medica