31 dicembre -
Gentile direttore,
la storia ci dice che nel nostro sistema sanitario i cambiamenti “naturali” hanno sempre preceduto le evoluzioni normative. Già negli anni '70 le “mansioni infermieristiche” avevano avuto una “naturale evoluzione”, probabile conseguenza del rigore formativo di quegli anni e della mutata richiesta di scolarità per l'accesso, tanto da spingere il legislatore ad una nuova declinazione delle mansioni dell'infermiere (DPR 225/'74).
Nei venti anni che seguono si riscontrano importanti evoluzioni scientifiche e tecnologiche e, contemporaneamente, vengono modificati i requisiti per l'accesso al percorso formativo dell'infermiere (“maturità” per l'accesso e corso di studi allungato a 3 anni).
I cambiamenti di cui sopra già in quegli anni avevano portato gli infermieri a svolgere molte attività non ricomprese nella “paginetta di mansioni” definite dal DPR 225/'74, sicuramente con vantaggi per gli utenti, ma anche con rischi per gli stessi infermieri.
Tali fatti, unitamente ad un momento di forte aggregazione e di orgoglio professionale (anche con civili manifestazioni di piazza), e a distanza di 20 anni dalla precedente determinazione, hanno spinto il livello governativo a ridefinire gli ambiti di intervento e le caratterizzazioni professionali (e non più le singole mansioni) con la pubblicazione del DM 739/'94 (profilo professionale dell'infermiere) e al riconoscimento pieno di “professione sanitaria” (L. 42/'99) con il superamento del concetto di “ausiliarità”, unitamente alle nuove e chiare definizioni di autonomia e responsabilità proprie.
I successivi 20 anni si caratterizzano per il proseguo dello sviluppo scientifico e tecnologico e per una ulteriore evoluzione del percorso formativo dell'Infermiere, con il passaggio di tutta la formazione all'università, prima come “Diploma Universitario” e poi come Corso di Laurea triennale, con la contestuale attivazione del percorso di Laurea Magistrale per ogni specifica Area (o Classe) di afferenza e alla attivazione di master specialistici in ambiti clinici e organizzativi.
A distanza di 20 anni dalla Pubblicazione Profilo Professionale (DM 739/94, sopra citato) si avverte nuovamente l'esigenza di una nuova regolamentazione dell'esercizio professionale dell'Infermiere, non tanto come una “nuove mansioni”, quanto come un “nuovo ordine” dell'intero sistema, anche con una nuova definizione dei saperi caratterizzanti ogni ambito e contesto clinico-assistenziale, tenuto conto sia delle evoluzioni scientifiche e tecnologiche, sia delle nuove esigenze multi-professionali e multi-disciplinari negli approcci diagnostici, clinico-assistenziali e riabilitativi che richiedono livelli di conoscenze e competenze sempre più avanzate e specialistiche.
Fino ad oggi i cambiamenti che hanno interessato i modelli organizzativi e si sistemi di cura e assistenza si sono realizzati più per “via spontanea” che per “via programmatica”, con una distribuzione “a macchia di leopardo” sul territorio nazionale, generalmente più per volontà dei singoli e dei piccoli gruppi (multi-professionali) che per allineamento a un preciso progetto, pur in presenza di un assetto normativo che da oltre un decennio auspicava tali sviluppi e implementazioni (nell'intero sistema e non in sparute aree e/o contesti).
Da un punto di vista scientifico e metodologico i processi di “cambiamento” devono seguire dei percorsi contraddistinti da una sequenza logica di azioni:
· individuazione e definizione delle aree e degli ambiti operativi e di intervento (attività clinico-assistenziali generalistiche e specialistiche);
· definizione, per ogni area operativa e di intervento, dei paradigmi di riferimento (dalla presa in carico della persona al progetto clinico-assistenziale, dalla realizzazione delle attività clinico-assistenziali ai sistemi di verifica e valutazione, dalle collaborazioni, relazioni e interazioni alla definizione dei ruoli e responsabilità) e dei modelli organizzativi adeguati alle esigenze di oggi (dei cittadini, dei professioniati e del sistema);
· definizione, per ogni area operativa e di intervento, sulla base delle situazioni processuali caratterizzanti, delle tecnologie, delle attrezzature e delle metodiche clinico-assistenziali-riabilitative, delle metodologie del lavoro di équipe, degli strumenti di lavoro da utilizzare in via ordinaria, etc.etc., dei saperi necessari ai singoli professionisti (competenze), per garantire la correttezza e completezza delle azioni, la continuità delle attività e delle prestazioni, nonché la sicurezza (ai pazienti e agli stessi operatori);
· definizione dei core-curriculum formativi (teorici, di laboratorio e pratici), tenuto conto delle nuove esigenze del sistema e dei nuovi bisogni dell'utenza, da rendere operativi in maniera uniforme sull'intero territorio nazionale, anche in funzione delle nuove regole comunitarie che prevedono la libera circolazione europea di pazienti ed operatori, con l'assoluta necessità di allineamento alle nuove regole.
Oggi la semplice lettura documentale, di produzione istituzionale ai più alti livelli (OMS, PSN, PRR), consente di evidenziare l'importanza (a parole) che tutti danno alla figura professionale dell'infermiere, unitamente alla necessità di un diverso riconoscimento di status e ruolo.
Nella realtà sono ancora troppi coloro che auspicano un più elevato livello di conoscenze e competenze …. ma ad invarianza di status, di ruolo, di responsabilità …. e di gerarchie.
Certamente il momento è molto delicato, ma è altrettanto certo che non è tempo nè “di guerre” né di “incitamenti contro qualcuno”
(un datato riferimento cinematografico potrebbe essere “l'attimo fuggente”); invece è davvero il momento di costruire qualcosa di diverso, con tutti gli stake-holder intorno allo stesso tavolo, tenuto conto dell'assetto normativo vigente (con riferimento alle norme che regolamentano il funzionamento del sistema e delle norme che disciplinano l'esercizio professionale degli operatori), delle nuove esigenze e necessità (del sistema e dei cittadini) e dei cambiamenti già avvenuti e di quelli che si dovranno realizzare.
Il cambiamento implica degli importanti coinvolgimenti (e conseguenti azioni) ed è necessario che ognuno faccia la propria parte:
Il livello governativo– per la determinazione dei servizi che si intendono garantire alla popolazione, tenuto conto delle mutate condizioni demografiche, epidemiologiche, sociali ed economiche e, prima ancora, del rispetto dei principi fondamentali stabiliti dalla Costituzione del nostro Paese.
Il ministero della Salute– per il ri-disegno del sistema, anche con eventuali azioni normative e/o indirizzo, con una nuova definizione di status e ruolo dei professionisti interessati (con il coinvolgimento degli stessi), tenuto conto dell'evoluzione dei percorsi formativi e dei mutati livelli di conoscenze e competenze degli infermieri (e degli altri professionisti afferenti alle professioni sanitarie).
Non è tanto una questione di implementazione di “mansioni infermieristiche” per una necessità di “contenimento dei costi” (come qualcuno afferma - QS 23/12 – SNAMI … et.al.) quanto la necessità di ridefinire i paradigmi di riferimento e i saperi necessari – dalla linea di produzione alla dirigenza – per operare in ambiti e contesti clinico-assistenziali pre-definiti, tenuto conto delle specificità e delle caratterizzazioni professionali.
Gli aspetti di maggiore rilievo riguardano l'individuazione delle specializzazioni, che potrebbero essere parte integrante di un progetto di riorganizzazione complessiva del percorso formativo, con una ri-definizione dei contenuti (e degli obiettivi) per ogni specifico ambito operativo specialistico, tenuto conto delle caratterizzazioni dei nuovi approcci diagnostici, clinico-assistenziali e riabilitativi, nonché delle specificità professionali riferibili sia alle abilità, sia alle capacità relazionali ed educative.
L'Università– per un forte intervento per la revisione dei curricola formativi di tutte le figure professionali, compresa la formazione del medico, per l'adeguamento degli stessi alle nuove necessità del sistema e alle esigenze dei futuri professionisti, per ogni livello formativo (CL di I e II livello, Master di I e II livello, Dottorati di ricerca, etc.).
Gli Ordini Professionali e le Associazioni– per il supporto, con precise azioni di guida ed indirizzo, definite e condivise, per un uniforme sviluppo sul territorio nazionale, con il coinvolgimento diretto dei gruppi professionali (privilegiando un percorso bottom-up), evitando tensioni e contrasti multi-professionali (improduttivi e senza significato) che non servono né ai professionisti, né ai cittadini.
I professionisti (tutti e ad ogni livello)– per una diversa consapevolezza di essere “professionista della salute”, per i valori di oggi, diversi rispetto a quelli del passato, per una visione multi-professionale e multi-disciplinare dei progetti e dei processi di cura/assistenza/riabilitazione, per una diversa lettura dei fenomeni, per una chiara definizione dei ruoli e delle responsabilità.
Le esternazioni di molti (in particolare medici) sembrano più dettate dalla preoccupazione di perdere qualcosa (restringimento del perimetro di intervento proprio a favore dell'allargamento di altri?), piuttosto che dalla reale consapevolezza della necessità del cambiamento … che sarà comunque ineludibile e inarrestabile.
Le cose da fare sono molte e il tempo a disposizione è poco. Impegniamoci, crediamoci e proviamoci
Marcello Bozzi
Infermiere, Azienda Ospedaliera Universitaria - Siena