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QS Edizioni - sabato 23 novembre 2024

Lettere al Direttore

Le liberalizzazioni e le farmacie. Perché è bene non abbassare la guardia

di Raffaele Siniscalchi
24 agosto - Egregio Direttore,
sono anni che leggo e scrivo articoli sulla professione di farmacista e le problematiche da essa derivanti, soprattutto nella politica farmaceutica e sul nuovo modello distributivo in procinto di nascere. Pensavo di non dover ripetere concetti oramai consumati dalle sterili polemiche di alcuni e dai logori concetti di un liberismo invocato e mal compreso (o volutamente frainteso).
 
Ma si sa, in Italia ogni discussione passa dal pragmatismo di un'idea nella metamorfosi di un trattato di metafisica, fosse anche la più puerile disputa da “Bar dello Sport”. Se poi un ministro esterna un pensiero, utile o contrario a una lobby o fazione politica, ecco scatenarsi un boato mediatico ad amplificarlo o coprirlo per vantaggio degli uni o degli altri.
 
Molti invocano Bruxelles e l'Europa per validare concetti di liberismo spinto che mal si conciliano con l'aspettativa e i diritti dei cittadini. E in effetti essi, i cittadini, cosa chiedono? Servizi efficienti (diritti) e merci a basso costo qualitativamente migliori o pari a quelle cui sono abituati (aspettativa). Ed è così?
Non mi pare, in special modo se si stima il potere di acquisto degli attuali redditi verso il valore di quanto offre il mercato. Ciononostante il tentativo di pilotare l'opinione pubblica, facendo balenare la soluzione degli attuali problemi economici nella sfrenata concorrenza di un maggior liberismo, non recede, anzi!
L'ipotesi di interessi da conquistare o difendere diviene quindi certezza. Pertanto tenterò di far chiarezza su due nozioni basilari: quello di libertà d'impresa e libertà di esercizio di una professione.
 
· Per libertà di impresa è da intendersi la possibilità di iniziative economiche (per altri “attività”) nell'ambito dei paesi dell'Unione Europea con vincoli e regole armonizzate e unificate, al fine di facilitarne l'impianto. Ciò porta a una complessità di regolamenti (basti pensare alla normativa sul lavoro e ai vari contratti con essa in essere) che con grandi difficoltà verranno forse superati e non senza conflitti sindacali.
 
· La libertà di esercizio di una professione è inerente la creazione di un mercato europeo delle professioni, regolamentate dal riconoscimento di due libertà fondamentali: di stabilimento e di prestazione dei servizi.
 
 
Esse delineano le «due modalità attraverso le quali un operatore del settore dei servizi può beneficiare del suo diritto di circolazione intracomunitaria». La prima trova la sua base giuridica nell’art. 43 (ora art. 49 Tfue) del Trattato istitutivo che vieta restrizioni alla libertà dei cittadini di spostarsi in uno Stato membro diverso da quello di origine per svolgere un’attività in modo stabile e continuativo.
La libera prestazione di servizi è regolata invece dall’art. 49 (ora art. 56 Tfue) del Trattato e considera la possibilità di un cittadino di lavorare occasionalmente in un altro Stato membro della Comunità, alle stesse condizioni dei cittadini ivi residenti, ma senza doversi stabilire.
La libertà di stabilimento e la libertà di prestazione si diversificano per diverse modalità operative e profili di esercizio: nella prima emerge il tratto della stabilità e della permanenza del soggetto; nella seconda la peculiarità della contingenza e della temporaneità della prestazione. Entrambe però sono accomunate dal non dover essere discriminate con leggi che invocano la nazionalità (protezionismo).
 
Il Trattato comunitario impone, infatti, di applicare al cittadino-stabilito e al prestatore di servizi lo stesso percorso legislativo contemplato per i cittadini dello Stato ospitante, con gli unici limiti dovuti a motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica (art. 46 Tratt. CE che è confluito nell’art. 52 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea).
Innegabile è il raggiungimento di un elevato livello di attuazione della normativa riguardo la libertà di stabilimento e di prestazione di servizi dei professionisti nell'Unione europea grazie al contributo considerevole della giurisprudenza della Corte di Giustizia nell'evoluzione del diritto comunitario.
 
E alla corte di Giustizia Europea fanno riferimento molti degli attori del mercato per ottenere deroghe o eccezioni alle proprie discipline nazionali al fine di sottometterle (con proprio soddisfacimento) al regolamento più ampio (inteso come corpus legislativo meno specifico) europeo. Nella fattispecie è esemplificativo il caso italiano dei farmaci di “fascia C” vendibili esclusivamente nelle farmacie, presentato al Legislatore Europeo come un grave vulnus alla libertà professionale del farmacista, ma che non trova eguali casi (di liberalizzazione) nel Continente.
 
L'esempio citato richiama l’attenzione verso la questione dell’applicabilità alle professioni del diritto comunitario della concorrenza (sino a oggi appannaggio esclusivo delle imprese).
“ … Delle norme sulla concorrenza sono destinatarie imprese ex art. 81 Tratt. CE; l’applicazione di esse ai professionisti presuppone quindi che questi siano identificati come tali. Il Trattato istitutivo, però, non chiarisce, ai fini dell’applicazione del diritto comunitario, il concetto di impresa, sul quale si è soffermata la giurisprudenza comunitaria. La Corte di Giustizia, infatti, ha elaborato una peculiare nozione di impresa che ha ad oggetto non un’entità dalla personalità giuridica definita – come prevede, per esempio, la normativa italiana che isola la nozione di imprenditore e di società commerciale –, ma un’entità con determinati caratteri economici. La Corte ha quindi, avvalorato una interpretazione estensiva della nozione di impresa secondo il Trattato comunitario, nella quale rientra qualsiasi entità che esercita un’attività economica, a prescindere dallo status giuridico di detta entità e dalle sue modalità di finanziamento [94]. Per l’esistenza di un’impresa, secondo i giudici comunitari, è sufficiente che vi sia un’attività economica caratterizzata dalla prestazione di servizi dietro retribuzione, al fine di ottenere un profitto. Tale condizione di certo sussiste anche nel caso dei professionisti, le cui prestazioni rientrerebbero dunque nell’ambito di operatività degli artt. 81 ss. Tratt. CE.
Questa definizione, si rammenta, è propria della giurisprudenza della Corte di Giustizia, mentre è assente nel diritto comunitario primario e secondario [95].
I professionisti sono dunque imprese [96], ma particolari, per le quali le esigenze del libero mercato devono essere contemperate con quelle di «salvaguardare gli elevati livelli morali ed etici» [97].
I professionisti, in quanto imprese, necessitano di una regolamentazione anticoncorrenziale, come ha rilevato la Commissione europea nella Relazione sulla concorrenza nei servizi professionali (COM 83 (9.2.2004) ....” (A. Montanari- ILLeJ, vol. XI, n. 1, 2009 - http://www.labourlawjournal.it -)
 
Ora, per non dilungare la trattazione su argomenti prettamente tecnici e per tornare al tema centrale del discorso (le farmacie), deve esser fatta una specifica distinzione tra la mera attività commerciale da esse svolta e la figura del professionista farmacista detentore della licenza (titolare).
E' fuori di dubbio che la farmacia sia un'attività di impresa ma è ancor più chiaro che il farmacista titolare, il quale in essa esplica la sua attività, sia una figura ibrida di professionista, concessionario di pubblico servizio e imprenditore (Consiglio di Stato, Sez. IV, 1 ottobre 2004, n.6409) o, meglio, definito come un “imprenditore commerciale non commerciante” (Cassazione Civile, Sez. I, 4 dicembre 1989, n.5342).
 
E ancora, i detrattori dell'attuale sistema farmaceutico italiano dimenticano quanto previsto nel rapporto sui servizi d’interesse generale presentato al Consiglio europeo di Laeken alla fine del 2001. In esso la Commissione rilevava che “non è possibile stabilire a priori un elenco definitivo di tutti i servizi di interesse generale da considerarsi come non economici”. 
 
Si è citata l'interpretazione di una sentenza della Corte di Giustizia secondo la quale “costituisce attività economica qualsiasi attività consistente nell’offrire beni e servizi su un dato mercato”. 
Con una tale definizione, tutto, eccetto le attività “di governo” dello Stato, può essere considerato “attività economica” e quindi assoggettato alle regole della concorrenza. 

Tuttavia, la direttiva ora esclude nettamente un certo numero di attività inerenti i servizi pubblici o attività dipendenti dal potere pubblico. 
In totale, e sperando di non aver dimenticato niente: accesso ai fondi pubblici, servizi sociali, edilizia popolare (finanziamento, sistema di aiuti, criteri di assegnazione), servizi per l’infanzia e la famiglia, servizi finanziari, servizi sanitari e farmaceutici tra i quali i rimborsi delle spese sostenute per cure, l’audiovisivo ivi compreso il cinema, i giochi d’azzardo (?), le professioni associate all’esercizio del potere pubblico, la fiscalità, le attività sportive amatoriali.
Quindi i servizi d'interesse generale (SIG) sono esclusi dal campo di applicazione della Direttiva Bolkestein, ma essa si applica ai servizi d’interesse economico generale (SIEG), vale a dire ai servizi che corrispondono a una attività economica e, in quanto tali, aperti alla concorrenza. 

In pratica si è consolidato il principio di impedire al liberismo selvaggio e al capitale di entrare in attività essenziali finalizzate alla tutela sanitaria dei cittadini.
Vale anche la pena ricordare l'interrogazione dell' On. Angelilli alla Commissione UE sulla compatibilità dell'art.32 del Decreto Monti con il diritto comunitario.
... Secondo l'On. Angelilli, infatti, tale disposizione, che prevede la liberalizzazione di farmaci che possono presentare effetti indesiderati molto seri (quali contraccettivi, ormoni, anabolizzanti, cortisonici, vaccini e antibiotici), potrebbe portare a gravi rischi per la salute, data l'impossibilità di effettuare controlli accurati nel caso in cui tali farmaci uscissero dal canale farmacia. 
Secondo la parlamentare del Partito Popolare Europeo, tale norma sarebbe in contrasto con la direttiva sui servizi, che prevede l'esclusione da misure di liberalizzazione dei servizi sanitari e farmaceutici forniti da professionisti a scopi terapeutici. Nella parte finale dell'interrogazione viene chiesto anche alla Commissione se tali misure possono determinare un potenziale rischio per la salute dei cittadini e qual è la situazione a riguardo in altri Paesi europei”. (Ufficio rapporti internazionali - Mauro Lanzilotto)
 
Quindi, quando alcuni scrivono e parlano di Europa, di servizi comunitari, di regole medievali da abbattere, di privilegi di casta e di negata libertà di professione, o fingono di non sapere o manifestano incapacità e bisogno di opportune nozioni sul diritto comunitario onde evitare di vendere fumo.
 
Non a caso il "Comitato economico e sociale europeo" ha deciso, in data 16 febbraio 2007, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere di iniziativa sul tema:
“Una valutazione indipendente dei Servizi di Interesse Generale” (Gazzetta ufficiale n. C 162 del 25/06/2008 pag. 0042 – 0045).
Esso, ai paragrafi 6.5, 6.6, 6.7, scrive:
6.5 Oltre a essere condotta con spirito pluralista, la valutazione dovrà essere indipendente e basarsi sul principio del contraddittorio, dato che le diverse parti in causa non condividono tutte gli stessi interessi; anzi, in alcuni casi presentano interessi opposti e squilibri sul piano delle informazioni e delle competenze di cui dispongono.

6.6 Sarebbe pertanto impossibile valutare l'efficienza dei SIG sul piano economico e sociale, come pure le loro attività e prestazioni, sulla base di un unico criterio, vale a dire in relazione alle regole di concorrenza, ma occorre invece fondare tale valutazione su tutto un ventaglio di criteri.

6.7 Come evidenziato dal Ciriec e dal CEEP in uno studio condotto nel 2000 [4] su richiesta della Commissione europea, la valutazione ha senso soltanto se effettuata in relazione agli obiettivi e ai compiti assegnati, i quali dipendono da tre fonti di definizione — il consumatore, il cittadino e la collettività — e si articolano in tre componenti: la garanzia dell'esercizio dei diritti fondamentali della persona, la coesione sociale e territoriale, la definizione e attuazione di politiche pubbliche.
Per concludere, quando col precedente governo il pacchetto liberalizzazioni finì sul tavolo del Ministro dello Sviluppo Economico e Infrastrutture e Trasporti (Corrado Passera), son stati gli stessi suoi collaboratori a mettere in rilievo che con le farmacie non si poteva procedere liberalizzando la fascia C a quel modo, poiché non di liberalizzazioni si trattava e non ci sarebbe stata alcuna ricaduta economica sui cittadini tale da giustificare un pastrocchio simile. 

Bersani non fece una bella figura all'interno dello stesso PD poiché, invece di difendere i più deboli (pensionati, lavoratori precari e disoccupati), si preoccupò di spostare fatturati in favore di potentati economici (GDO e multinazionali). Anche usando a pretesto la difesa dei farmacisti che operano all'interno delle para-farmacie. 
Gli stessi sindacati (o almeno una parte di essi) rimarcarono come lo svuotamento delle farmacie del loro contenuto professionale a vantaggio di altri gruppi distributivi non avrebbe creato nuova occupazione ma solo uno slittamento verso altre forme occupazionali non sottoposte a un contratto collettivo di lavoro ma a contratti variamente tipizzati in base all'offerta dell'area del commercio e non sanitaria. 

In pratica una precarizzazione di un'area lavorativa che sino ha oggi ha beneficiato dell'opportunità di un mercato protetto si, ma finalizzato alla tutela del servizio pubblico espletato dalle farmacie. 

Quando l'allora ministro asserì di aver trovato "resistenze" si riferiva a quelle tecnico-legislative, non politico-lobbiste. 
Ricordiamoci sempre che per stare in Europa è necessario rispettarne i trattati. 
La sanità e chi in essa vi opera fa parte di quel contenitore in cui sono inserite le Società di Interesse Generale (S.I.G). Tutto il resto, società di distribuzione ed esercizi commerciali (quindi anche le para-farmacie) fanno parte delle Società di Interesse Economico Generale (S.I.E.G.)e in quanto tali possono essere oggetto di concorrenza e non tutelate dallo strapotere del più forte sul mercato (Patti di Laeken 2001). 

E mi auguro, dopo questa articolata narrazione, di non innescare le solite inutili polemiche da bar.
 
Dr. Raffaele Siniscalchi
Titolare di farmacia
Consigliere del M.S.F.I.
24 agosto 2013
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