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QS Edizioni - venerdì 27 settembre 2024

Lettere al Direttore

La formazione manageriale: la ennesima cosa “all’italiana”?

di Claudio Maria Maffei
immagine 23 settembre -

Gentile direttore,
in due recenti interventi qui su Qs ho trattato alcune delle criticità legate alle procedure di selezione dei Direttori di struttura complessa. Nel primo ho trattato soprattutto la questione della enorme variabilità tra le varie Regioni nel peso dato al curriculum colloquio rispetto al colloquio, con Regioni in cui le Aziende possono dare un peso dell’80% al colloquio, come fa l’Azienda Unità Sanitaria Locale di Modena, a Regioni in cui il rapporto si inverte, come il Veneto che attribuisce un massimo di 50 punti al curriculum e di 30 al colloquio.

Nel secondo ho trattato della necessità di darsi nuove regole più esplicite e più omogenee per rendere meno facile la forzatura dei “concorsi” in una direzione predefinita. Questo terzo e ultimo approfondimento riguarda il ruolo della formazione manageriale nella selezione dei direttori di struttura complessa, o meglio della non-formazione visto che l’attestato di formazione manageriale in queste selezioni non è un requisito di ammissione, essendo previsto nella pratica totalità dei bandi che esso debba essere acquisito entro un anno dall’eventuale inizio dell’incarico. Trascrivo quanto riportato ad esempio nelle Linee di indirizzo della Regione Marche del 2023 per il conferimento degli incarichi di direzione di struttura complessa per la dirigenza medica, veterinaria e sanitaria del SSR che prevede che nei relativi avvisi si debbano dare informazioni relativamente “all’obbligo dell’attestato del corso di formazione manageriale, di cui all’art. 5 comma 1 lett.d) del D.P.R. n. 484/1997, che dovrà essere conseguito entro un anno dall'inizio dell'incarico di struttura complessa, ai sensi dell’art. 15 comma 8 del D.Lgs. 502/1992”. In pratica è come se la Patente di guida venisse data dopo una prova pratica su strada e i quiz dovessero essere fatti e superati entro un anno, un anno durante il quale il neoguidatore incontrerà migliaia di cartelli, supererà altrettanti incroci e affrontato altrettante rotatorie.

In pratica si può diventare direttrice o direttore di unità operativa complessa senza essersi formato sulle competenze manageriali (o gestionali, i due termini vengono usati spesso in modo intercambiabile nel linguaggio delle burocrazie aziendali). La cosa è evidentemente illogica a meno che non si ritenga che il possesso del titolo comunque favorirebbe comunque la/il candidata/o in sede di valutazione del curriculum e del colloquio. Purtroppo le Commissioni “di concorso” non sempre condividono questa logica, come è capitato nella vicenda locale che ha innescato questa mini-serie di interventi, vicenda in cui la competenza manageriale di un candidato senza attestato e senza esperienza gestionale è stata valutata al colloquio meritevole di un punteggio molto più alto rispetto a quella di un candidato con attestato e lunga esperienza gestionale, gran parte della quale maturata proprio nella Azienda che poi non ne ha tenuto conto.

Ma torniamo al discorso generale del significato da dare al fatto che la formazione manageriale non costituisca nel Ssn un prerequisito essenziale alla partecipazione ai concorsi (tolgo le virgolette) per la direzione di strutture complesse. Essendo ormai attivi da decenni i Corsi di formazione manageriale in tutte le Regioni non regge più l’ipotesi che accettando che l’attestato venga preso “dopo” si evita che vengano esclusi bravi candidati che non hanno trovato il tempo e il modo di parteciparvi. La spiegazione più semplice è che gli attestati di formazione manageriale sono considerati ormai un proforma, e forse questo vale ormai anche per i Direttori (da quelli Generali agli altri ai vertici aziendali e regionali), anche loro spesso scelti o esclusi in base a criteri di “fidelizzazione” o “vicinanza” quando non letteralmente di “parentela”.

Ma questa sottovalutazione delle competenze manageriali con le scelte sbagliate che ne derivano ha risultati molto negativi a tutti i livelli con un impatto complessivo negativo su tutto il sistema. Sicuramente il Ssn è sottofinanziato e sicuramente il trattamento economico di professionisti e operatori è inadeguato, ma è anche molto mal programmato e altrettanto mal gestito. Prendo solo alcuni esempi “ufficiali” tra gli innumerevoli possibili (trascuro qui la grande variabilità tra Regioni): le reti cliniche comprese quelle tempo dipendenti che in molte Regioni non funzionano, i gravissimi ritardi nella traduzione operativa del Piano Nazionale della cronicità, il mal funzionamento anche per scelte programmatorie e organizzative inadeguate dei Pronto Soccorso e l’elevato numero di strutture con volumi di attività chirurgica oncologica sotto soglia. Ma le cose non vanno meglio per i processi con una forte valenza di tipo tecnico-amministrativa se pensiamo ai tragici ritardi nella gestione dei programmi di edilizia sanitaria e ai ritardi nella messa a regime del fascicolo sanitario elettronico, per fare due esempi clamorosi sotto gli occhi di tutti.

Insomma, il Ssn al di là della grave e colpevole carenza di risorse funziona “male” troppo spesso, su troppi temi e da troppe parti. L’apparato manageriale ai vari livelli (centrali, regionali, aziendali e operativi) dovrebbe avere l’obiettivo di farlo funzionare meglio e pensare che le competenze per svolgere questa funzione siano “naturali” è un grave errore, a partire dalla selezione dei dirigenti. Perché il Ssn è in crisi anche per la crescita della mediocrazia nei ruoli chiave. Lo scrivevo 5 anni fa e oggi lo penso anche con maggior forza.

Claudio Maria Maffei
Coordinatore Tavolo Salute Pd Marche

23 settembre 2024
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