7 marzo -
Gentile direttore,
le
bozze di progetti presentati da Ministero e regioni propongono di fondare una Riforma della Assistenza Territoriale su di un drastico aumento del carico di lavoro per i medici di Assistenza Primaria. È quindi fondamentale aprire una riflessione su questa ipotesi: quando si prevede di raddoppiare l’orario nominale di lavoro di una categoria, bisogna chiarire alcuni punti.
Qualsiasi riforma deve partire da un’analisi corretta della realtà, individuare gli obiettivi che si vogliono raggiungere e dopo definire un nuovo modello di assistenza territoriale e il percorso per arrivare al nuovo modello. La costruzione di più di 1500 Case della Comunità è una condizione necessaria, ma non sufficiente, e gli obiettivi da raggiungere non sono esplicitati.
L’analisi della realtà è evidentemente viziata da una narrativa alimentata da certa stampa e dalla politica, che dà per assodato che i MMG, lavorando solo 20 ore (minimo) alla settimana, non riescono a smaltire tutto il lavoro che gli viene assegnato da Governo, Regioni e ASL. È necessario non limitarsi a raddoppiare “sic et simpliciter” l’orario di lavoro, ma iniziare a chiarire quali saranno in realtà i loro compiti. Se non si esplicita cosa dovranno fare, e in quale contesto, la proposta rimane confusa, e fondamentalmente non valutabile da tutte le parti interessate. Certo, non possiamo nasconderci che il numero dei MMG è destinato a calare nei prossimi anni, per vari fattori, e che dovranno per forza quindi essere concentrati nelle case della Comunità.
Ma è poi vero che i medici di Assistenza Primaria lavorino solo 20 ore alla settimana? La realtà è ben diversa dall’orario nominale, nel mondo reale le ore lavorate raggiungono livelli preoccupanti, che arrivano anche alle 50 ore, e spesso le superano in alcune settimane.
Quindi assegnare l’orario aggiuntivo a Distretti e Case della Comunità sembra essere un tentativo, poco meditato, di mettere insieme il diavolo, costituito dall’inevitabile centralizzazione dei servizi medici territoriali e l’acqua santa, che sarebbe il mantenimento di una parziale capillarità dell’Assistenza Primaria, senza accorgersi che non è un compromesso realistico: gli studi periferici saranno i primi a chiudere, per mancanza di medici e di personale di studio.
Un progetto che nasce da un compromesso tra istanze divergenti, può valere in campo politico ma non nella gestione di servizi che devono mantenere una base scientifica e garantire l’efficienza.
Se l’esigenza che sta alla base dell’aumento dell’orario è avere personale medico da destinare a compiti aggiuntivi, è indispensabile chiarire quali siano.
Analizziamo poi la “creativa commistione” nell’orario di lavoro del medico di due modalità ben diverse: le 20 ore negli studi periferici sono destinate all’assistenza ai pazienti propri, con compenso a quota capitaria, le restanti ore sono pagate a quota oraria e sono destinate a chi a fare cosa? Si deduce a chiunque acceda a Distretto e Casa della Comunità. È come si riuscirebbe a far quadrare l’orario, inevitabilmente fisso, dello studio personale periferico, con quello quasi certamente variabile, a turno, da garantire in Distretto o nelle Case?
Strettamente legato all’organizzazione di turni e lavoro negli studi personali è l’organizzazione delle ferie, e di ogni altra assenza giustificata dai contratti di lavoro e da necessità oggettive, come la malattia o l’aggiornamento professionale. L’aumento dell’orario e il fatto che sia spalmato su più sedi rende molto difficile una sostituzione reciproca tra i medici addetti al servizio.
Dubito che una simile prospettiva possa essere attrattiva per i medici più giovani, proprio per le difficoltà organizzative: gli interrogativi sono tanti ed occorre chiarirli al più presto.
Infine, le ultime
ipotesi ventilate dalle Regioni per ovviare alla mancanza di medici che vanno sicuramente analizzate, ma due in particolare sono poco realistiche:
- la possibilità per medici dipendenti di aprire una medicina di famiglia oltre il loro orario di lavoro;
- la possibilità per un medico di accettare 2 zone carenti contemporaneamente fino a 2500 assistiti.
La prima ipotesi non considera l’enorme numero di ore di straordinario dei dirigenti medici, dove troverebbero il tempo? La seconda non è credibile dato che fatichiamo a trovare chi ne accetta 1 di zona carente, figuriamoci se ne vorrà 2…
Meno slogan e improvvisazioni, più concretezza e progettualità. Questo dovrebbe essere il filo conduttore di una riforma.
Filippo De Nicolellis
Segretario Regionale FISMU - FVG