La legge 24/2017 può essere utilizzata anche in maniera retroattiva per l’interpretazione di fatti avvenuti prima della sua approvazione.
A stabilirlo è la Cassazione (terza sezione civile, sentenza 28987/2019) confermando una sentenza del Tribunale prima e della Corte d’appello sul diritto di una casa di cura di ottenere in rivalsa dal chirurgo la metà di quanto corrisposto alla paziente a titolo di risarcimento del danno, ma non l'intera somma e affermando che “la sopravvenuta legge 24 del 2017, al di là dei particolari contenuti delle singole disposizioni espressione della discrezionalità regolatoria del legislatore, costituisce, nella cornice della specialità della materia, indice ermeneutico di indirizzo a supporto della ricostruzione qui esposta”.
Il fatto
Una donna ha chiesto il risarcimento dei danni da responsabilità sanitaria alla casa di cura e al medico che l’avevano sottoposta a un triplice intervento, nel 1999, poi nel 2002 e infine nel 2004, di mastoplastica al seno, inizialmente riduttiva, poi additiva, e infine di revisione chirurgica delle connesse cicatrici, erroneamente eseguito e non rimediato dalle operazioni successive alla prima.
Il Tribunale accoglieva la domanda dichiarando la responsabilità solidale della struttura sanitaria e del medico; la Corte di appello confermava la decisione osservando, in particolare, che la responsabilità del medico si estende automaticamente ex art. 1228, cod. civ., alla struttura che se ne è avvalsa per i propri fini permettendo l'espletamento della prestazione sanitaria, non potendo fare alcuna differenza sulla graduazione delle colpe, tra chi aveva male eseguito gli interventi e chi avrebbe dovuto assicurare un'esecuzione da parte di persona idonea.
La casa di cura però ha ricorso per Cassazione ritenendo che la responsabilità fosse in carico all’esecutore della prestazione e quindi chiedendo di applicare su questo il principio della rivalsa.
La sentenza
La Cassazione, confermando le sentenze precedenti perché la struttura che si avvale della “collaborazione” dei sanitari si trova anche a dover rispondere dei danni da questi eventualmente causati, ha affermato che la legge 24/2017, incorpora ed esprime principi che costituiscono canoni interpretativi della normativa previgente, correttamente applicata “ratione temporis” dai giudici di merito.
Secondo la Cassazione tra le possibili soluzioni per identificare i limiti quantitativi dell’azione di rivalsa, la più corretta è quella che prevede il “danno da ‘malpratice’ ripartito tra struttura e sanitario, anche in ipotesi di colpa esclusiva di quest'ultimo, salvo i casi, del tutto eccezionali, di inescusabilmente grave, del tutto imprevedibile e oggettivamente improbabile devianza da quel programma condiviso di tutela della salute: si pensi al sanitario che esegua senza plausibile ragione un intervento di cardiochirurgia fuori della sala operatoria dell'ospedale”.
La sentenza spiega come il medico “operi pur sempre nel contesto dei servizi resi dalla struttura presso cui svolge l'attività, che sia stabile o saltuaria, per cui la sua condotta negligente non può essere agevolmente ‘isolata’ dal più ampio complesso delle scelte organizzative, di politica sanitaria e di razionalizzazione dei propri servizi operate dalla struttura, di cui il medico stesso è parte integrante, mentre il già citato art. 1228, cod. civ., fonda, a sua volta, l'imputazione al debitore degli illeciti commessi dai suoi ausiliari sulla libertà del titolare dell'obbligazione di decidere come provvedere all'adempimento, accettando il rischio connesso alle modalità prescelte, secondo la struttura di responsabilità da rischio d'impresa (‘cuius commoda eius et incommoda’) ovvero, descrittivamente, secondo la responsabilità organizzativa nell'esecuzione di prestazioni complesse”.
E la Cassazione chiama in ballo la legge 24/2017 osservando “come la responsabilità della struttura sanitaria destinata a scaturire ‘ex se’ da un'attività che impone … l'adozione di uno stringente ‘standard’ operativo, vada a modellarsi secondo criteri di natura oggettiva, a differenza di quanto invece predicabile con riferimento all'attività del singolo sanitario, ai sensi dell'espressa disposizione di cui all'art. 7 comma 1 della legge n. 24 del 2017, ove si discorre di responsabilità scaturente ‘dalle condotte dolose o colpose di quest'ultimo’, in assenza delle quali nessun addebito potrà essere legittimamente mosso alla struttura, a conferma della bontà della ricostruzione teorica che la vede responsabile ‘per fatto proprio’ dell'agire dei suoi dipendenti”.
La Cassazione sottolinea quindi che in base a quanto accaduto può formularsi il seguente principio di diritto: “in tema di danni da ‘malpractice’ medica nel regime anteriore alla legge n. 24 del 2017, nell'ipotesi di colpa esclusiva del medico la responsabilità dev'essere paritariamente ripartita tra struttura e sanitario, nei conseguenti rapporti tra gli stessi, eccetto che negli eccezionali casi d'inescusabilmente grave, del tutto imprevedibile e oggettivamente improbabile devianza dal programma condiviso di tutela della salute cui la struttura risulti essersi obbligata”.
La casa di cura che ha pagato la danneggiata non ha dichiarato durante il giudizio “l'imprevedibile e del tutto dissonante ‘malpractice’ medica nei termini ricostruiti, sicché la censura va rigettata”, affermando così un “principio” interpretativo della retroattività della legge 24/2017.