Un recente articolo di Ivan Cavicchi
sulle qualità del capitano che deve governare la nave, articolo che fa seguito ad una serie di scritti e pubblicazioni sulla “questione medica”, rappresenta una intelligente analisi della situazione della professione e introduce una distinzione tra “modernisti” e “riformisti”, come di consueto affascinante sotto il profilo dell’analisi descrittiva.
La figura del “medico autore” non può che essere l’obiettivo di una strategia politica della professione, ma delineare le strategie a tavolino è cosa ben diversa dal combattere una guerra, in quanto di questo ormai si tratta, fatta di battaglie e fronti diversi, di alleati, amici, falsi amici e nemici, di cui è pieno il mondo della politica sanitaria.
Quanto alla “crisi” dei vertici della professione e della sua rappresentatività, questa risente della crisi della rappresentatività in generale, in un mondo in cui i cittadini aspirano alla democrazia on line, diretta ma manipolabile non meno di quella tradizionale e che consente l’illusione di rappresentare l’interesse del singolo più di quello dell’intera popolazione. È vero che la partecipazione alle elezioni ordinistiche è limitata, ma lo è anche quella alle iniziative referendarie e alle elezioni amministrative e questa tendenza è mondiale, ancor prima che nazionale.
Ragioniamo quindi sulla rappresentatività esistente, che è quella che la categoria ha scelto con gli strumenti possibilie che deve essere conscia della necessità di conciliare molteplici anime e interessi in una strategia limitata dal fatto - e qualche volta Cavicchi sembra dimenticarlo - che le leggi vigenti non lasciano nessuno spazio, nel governo della Sanità, alla professione medica. Le risorse sono gestite dal Governo e dalle Regioni e i medici sono sentiti, al più, in termini consultivi, insieme, ricordiamolo, alle altre professioni sanitarie, il cui bilanciamento di peso politico potrebbe essere oggetto di altre interminabili discussioni.
Proporre il “medico autore” al mondo della politica è certamente doveroso: che il mondo della politica lo recepisca e lo promuova presuppone che la politica ritenga conveniente delegare una parte del proprio spazio decisionale ad una categoria professionale che lo richiede senza avere reali strumenti per imporlo: si può sviluppare un progetto che descriva i nuovi scenari aperti dal “medico autore”, e il contributo di Cavicchi potrebbe essere innovativo, intelligente, interessante e fondamentale, ma dovrebbe essere anche convincente per una politica che decide e che trae (a torto o ragione) forza dalla capacità di “amministrare” le professioni sanitarie.
In realtà bisogna essere attenti a non cadere nella tentazione di voler scrivere la storia in anticipoe tener conto del fatto che lo sviluppo della società è comunque dinamico e plurifattoriale, interazione di diversi interventi e in cui spesso la tattica vale tanto quanto la strategia. In questo senso il “modernismo” può svolgere il suo ruolo, insieme al “riformismo”.
Un esempio è quello del decreto appropriatezza: si può fare ricorso al TAR, ben sapendo che il TAR ben difficilmente casserà un decreto ministeriale di questo tipo (questo è il riformismo?) oppure si può svolgere una azione - complicata, difficile e mediatoria - di riscrittura per ricondurre la valutazione del comportamento del medico a una responsabilità complessiva rendicontabile, che non condiziona l’autonomia clinica nel singolo caso, ma che utilizza le indicazioni delle linee guida come orientamento complessivo (questo è il modernismo?).
Ben vengano quindi alcune analisi pacate di Ivan Cavicchi, ma utilizziamole al meglio, integrate in una realtà complessa e dinamica in cui ciascuno di noi, conscio dei propri limiti di rappresentatività reale, di capacità operativa, di “potere”, interagisce in una società complessa con onestà intellettuale, interagisce al meglio a tutela della professione e dei cittadini, sviluppando una strategia ma non trascurando la tattica.
È solo così che qualche volta, ma non sempre, l’utopia si realizza.
I vertici della FNOMCeO