Quello delle liberalizzazioni deve restare un capitolo centrale e prioritario dell’agenda politica e va affrontato intervenendo innanzitutto sui settori che in via prioritaria possono dare tempestivi benefici ai cittadini in termini di efficienza dei servizi, di risparmi e di nuove prospettive occupazionali.
Le regole che disciplinano la libera concorrenza e l’evoluzione dei mercati hanno un effetto di assoluto rilievo sia per lo sviluppo economico del Paese che per il patrimonio di valori su cui abbiamo costruito il nostro sistema produttivo e di coesione sociale.
Se è vero che non si possono consentire “riserve indiane” è anche vero che la rotta da seguire non può essere consegnata completamente alle pure logiche di profitto. Ci vuole buon senso ed equilibrio. E per una volta i partiti dovrebbero essere capaci di ammodernare il Paese senza farsi tirare più di tanto la giacca dai segmenti elettorali di riferimento. E’ necessario un livello alto di mediazione che “tenga insieme” il Paese, lo rassicuri con provvedimenti efficaci, concreti e imparziali, raffreddando il clima di palpabile tensione sociale che si legge dentro le drammatiche storie di suicidi e i censurabili atti di violenza.
Non si possono più tollerare distrazioni normative che consentono ai potenti gruppi finanziari di speculare sulla debolezza di una comunità piagata su se stessa da una crisi che morde alla gola come un doberman; e non si possono ostinatamente nascondere alcune tutele corporative dentro ingiustificati vincoli e limitazioni nel tentativo di conservare rendite di posizione. Alcune regole, tuttavia, servono e vanno accettate, conservate e garantite: sono quelle necessarie a disciplinare e lasciare impregiudicati i diritti collettivi sanciti dalla Costituzione che devono essere tutelati da un saggio equilibrio tra qualità, prezzo ed efficienza. Se si affida la competizione esclusivamente a sistemi economici sbilanciati e alla concorrenza tra prezzi è ovvio che a vincere non saranno merito, competenza e qualità ma avrà la meglio chi è più forte economicamente senza essere migliore per competenza, con conseguenze negative per la collettività.
Siccome non sono d’accordo nel trasformare gli italiani in un esercito di schiavi alle dipendenze dei “poteri forti” e credo fermamente nella centralità dell’Uomo, nell'economia sociale di mercato, nell’autonomia delle professioni, nei principi liberali e della solidarietà, il mio comportamento in Parlamento non potrà che riaffermare i valori in cui credo. E neanche le bombe, la manipolazione mediatica e il linciaggio di alcuni tenaci pretoriani delle vere lobby potranno farmi recedere dai miei doveri verso il Paese e verso la mia coscienza. Allora parliamo pure di liberalizzazioni, ma a partire da quei settori che muovono indisturbati miliardi di euro sottratti ogni anno dalle povere tasche dei cittadini. Parliamo di interessi usurai, di premi assicurativi, di energia e di agenzie di rating che, prive di qualsivoglia regolamentazione, operano perverse azioni di killeraggio sull'economia nazionale ed europea che vanificano, su comando di potenze economiche d’oltreoceano, intere manovre finanziarie da "lacrime e sangue", con il chiaro intento di indebolire gli stessi assetti democratici dei Paesi sempre più schiacciati dall' illecita e spregiudicata competizione tra euro e dollaro. Competizione drogata da manipolazioni della finanza virtuale che, ripercuotendosi sull’economia reale, ha di fatto scatenato una vera terza guerra mondiale: senza cannoni, ma a colpi di spread.
Gli italiani stanno capendo benissimo quel che è successo nel quadro politico nazionale di questi mesi e dunque non si accontenteranno solo di liberalizzazioni destinate a produrre chissà quando il modesto risultato di quindici euro all’anno di risparmio. Il Paese non si salverà certo aumentando il numero dei notai, delle edicole, delle farmacie o dei taxi. E nemmeno liberalizzando le tariffe professionali. In questi settori si deve intervenire ma attenzione ad amplificare ad arte la reale consistenza dei benefici che si possono ricavare, sottacendone le criticità. Eviteremmo in questo modo di fare la "marcia indietro" che proprio in queste scorse settimane ha dovuto fare la Francia riparando i danni determinati al sistema sanitario dal grave indebolimento della rete di assistenza territoriale delle farmacie che si è determinato per riforme sbagliate.
Il Parlamento continuerà a sostenere il Governo Monti. Ma il Governo Monti non deve invocare ancora una volta il rischio default per chiedere al Parlamento un consenso tacito e appiattito su decisioni già prese. Come ho già detto in Aula per smentire che la nostra è una “democrazia sospesa” è necessario rimettere in equilibrio il potere legislativo con quello esecutivo, chiamando ciascuno alle proprie responsabilità verso il Paese e verso gli Italiani e riducendo il ricorso alla decretazione d’urgenza quando non ve ne sono le ragioni. E si eviti, anche, di dare la sola percezione di essere forte con i deboli e deboli con i forti approvando provvedimenti che non possono essere scritti con la penna dell’inimicizia o della punizione verso taluni e con l’”inchiostro simpatico” per altri. E, soprattutto, ancora una volta, si verifichi la sostenibilità del sistema economico produttivo e sociale a reggere l’impatto delle misure adottate.
Il decreto "cresci Italia" contiene alcune misure che condivido e che rappresentano un primo, anche se non ancora adeguato, interveto in settori strategici per la crescita del Paese. Come condivido altresì e apprezzo alcune importanti scelte di principio del Governo e del Ministro Balduzzi che riconoscono alla farmacia il ruolo di "casa del farmaco" e di presidio socio-sanitario assistenziale, ma si faccia attenzione agli altri capitoli. Sono d’accordo sull’apertura di nuove farmacie, ma il numero previsto è spropositato e il sistema assistenziale andrebbe al collasso soprattutto nei piccoli comuni; si creino concrete prospettive occupazionali agevolando l’accesso alla titolarità ma si correggano alcuni criteri che penalizzano alcuni segmenti professionali; si conceda il cumulo dei titoli con una premialità che dia garanzie ai giovani; si preveda l’organico dei farmacisti in farmacia ma si conceda a questa di sostenerne gli oneri perché una farmacia povera non può generare nuova occupazione e non può continuare a offrire garanzie di qualità, di efficienza e di servizio; si liberalizzino gli orari ma introducendo principi di flessibilità e regole senza le quali otterremmo il risultato esattamente opposto a quello del maggior servizio ai cittadini. Se proprio se ne è convinti, si consenta lo sconto su tutti i farmaci ma liberalizzando l’intera filiera altrimenti “spariamo al ladro con la pistola ad acqua”; si aprano le mille farmacie nei micro comuni ma evitando che questo comporti la chiusura di quelle che nei micro comuni già operano con tanta fatica; si aprano le farmacie nelle stazioni, nei porti, negli aeroporti, nei grandi centri commerciali e sulle autostrade ma le si diano ai farmacisti e non ai Comuni che poi, come già sappiamo, le venderanno per fare cassa.
E infine si scrivano norme chiare e a prova di ricorso: temo che qualcosa non funzioni nel testo riferito alle procedure concorsuali e il mio incubo è che, ancora una volta, anche con il previsto intervento di “commissari-nembokid”, le sedi da aprire restino sulla carta.
Comprendo lo sforzo che sta compiendo il presidente Monti con il suo esecutivo e me ne faccio carico, con rispetto, lealtà e trasparenza. Mi auguro che il dibattito e la discussione in Commissione e in Aula - con l’apporto di proposte emendative che non intendono scardinare l’impianto del provvedimento - invece di essere derubricati a insalubre tentativo di difendere le presunte caste, venga accolto e considerato per quello che è: una leale collaborazione con il Governo per il bene del nostro Paese e della comunità.
Sen. Dott. Luigi d’Ambrosio Lettieri
Segretario 12a Commissione Igiene e Sanità