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QS Edizioni - sabato 23 novembre 2024

Governo e Parlamento

Rivalsa delle strutture sanitarie nei confronti dei professionisti dipendenti: il nuovo look del Ddl Gelli non risolve tutti i problemi

di Daniele Rodriguez e Anna Aprile
immagine 25 gennaio - Le attuali disposizioni sono insufficienti per garantire il diritto alla difesa del professionista sanitario rispetto ad eventuali, successive, azioni di rivalsa scaturenti da accertamenti medico-legali promossi dalla struttura sanitaria in relazione a istanze stragiudiziali di risarcimento e svolti senza la partecipazione del professionista stesso
Il 20 gennaio 2016 Quotidiano Sanità ha reso noti gli emendamenti introdotti dal Relatore nel d.d.l. Gelli, di imminente discussione in Aula alla Camera dei Deputati. In particolare, recependo la condizione n. 5 posta nel parere della II Commissione, l’art. 9 – rubricato “Azione di rivalsa” – è stato integralmente sostituito (emendamento 9.100 del Relatore). Un così drastico intervento, di massiccia rielaborazione del contenuto, è indicativo del rilevante interesse della materia della rivalsa, proprio in questa fase storica in cui molte Regioni hanno adottato un sistema di autogestione assicurativa (denominato anche di autoritenzione o di autoassicurazione) del servizio sanitario ed altre hanno optato per franchigie elevatissime (500.000 euro).

Intendiamo soffermarci sulla nuova versione dell’art. 9, ad integrazione della nostra nota – pubblicata su QS il giorno prima dell’introduzione delle modificazioni – in cui, commentando il precedente testo, sostenevamo in particolare due tesi:

 1) che la particolare attenzione dedicata dal d.d.l. Gelli all’azione di rivalsa da promuovere da parte della struttura sanitaria nei confronti dei propri dipendenti avrebbe determinato, dopo l’approvazione della legge, un incremento di queste azioni rispetto al passato;
2) che avrebbe dovuto essere stabilita una procedura che garantisse al professionista sanitario di partecipare alle indagini stragiudiziali che la struttura sanitaria avrebbe promosso in seguito alla richiesta risarcitoria del cittadino.

La tabella comparativa dei due testi (il precedente e l’attuale) del d.d.l. Gelli comparsa su QS il 20 gennaio può essere di ausilio per facilitare la comprensione delle nostre osservazioni.

Circa il punto 1), possono essere sviluppate le seguenti considerazioni in relazione alla nuova stesura dell’art. 9. Il testo ha assunto nel suo complesso una forma più discreta, nel senso che non è più così enfatico nel ribadire, espressamente e più volte, il ruolo della struttura sanitaria quale promotrice dell’azione di rivalsa. Tale ruolo resta comunque centrale anche nella nuova versione, posto che è scomparso il precedente comma 8, che ricordava l’esercizio dell'azione erariale da parte della procura presso la Corte dei conti e che quindi l’intero articolo è dedicato all’azione di rivalsa solo da parte della struttura sanitaria. Resta dunque ragionevole la già paventata previsione di uno scenario, nel prossimo futuro, caratterizzato da un aumento delle azioni di rivalsa da parte delle strutture sanitarie nei confronti dei professionisti dipendenti.

In merito alla tesi 2), sono possibili i seguenti spunti di riflessione. Nella rinnovata stesura dell’art. 9, non vi è più menzione della procedura della comunicazione, descritta nella anteriore redazione del comma 3. Questo aspetto è ora riproposto nell’art. 11bis, il cui contenuto è analogo a quello della prima frase del precedente comma 3. Persiste dunque, in capo a strutture sanitarie ed a compagnie di assicurazione, l’obbligo di comunicazione al professionista dell’instaurazione del giudizio promosso nei loro confronti dal danneggiato.

Il disposto dell’art.11bis, evita che un giudizio sostenuto contro la struttura possa realizzarsi all’insaputa del professionista coinvolto nei fatti contestati dal danneggiato. Non è stato comunque reiterato il dettato del precedente comma 4, che prevedeva che “l’omissione o la incompletezza della comunicazione preclude l’ammissibilità del giudizio di rivalsa”. L’attuale comma 3 stabilisce che “la decisione pronunciata nel giudizio promosso contro la struttura sanitaria o contro la compagnia assicuratrice non fa stato nel giudizio di rivalsa se l’esercente la professione sanitaria non è stato parte del giudizio”.
 
Questo disposto, a nostro avviso, non tutela adeguatamente il professionista che non sia stato avvisato del giudizio di risarcimento. È ben vero che, nella predetta circostanza, la decisione pronunciata “non fa stato”, ma è altrettanto vero che proprio siffatta decisione è logico presupposto per avviare l’azione di rivalsa da parte della struttura. Infatti, nel caso che il giudizio si sia concluso riconoscendo la legittimità delle pretese del ricorrente, il professionista sarà richiesto di rivalsa, da parte della struttura, essendosi concretizzata una delle condizioni previste nel comma 2: quella della azione da esercitare “successivamente al risarcimento avvenuto sulla base di titolo giudiziale”.

L’opportunità di una comunicazione precoce al professionista sanitario quale quella contemplata dall’art. 11bis deriva dal fatto che, soprattutto in caso di autogestione assicurativa o di franchigie elevatissime, ma anche nel caso di franchigie relativamente modeste e/o di temporanea scopertura assicurativa, possa frequentemente sorgere conflitto di interessi fra il professionista e la struttura sanitaria, che non ha alcun dovere e, spesso, alcun vantaggio, a difendere la specifica condotta di un dato professionista. Anzi, la struttura sanitaria potrebbe, almeno in alcuni casi, assumere un atteggiamento difensivo particolarmente blando, accettando le richieste del ricorrente ed utilizzando la sede processuale per dare risalto a situazioni che evidenzino gravi lacune nell’operato del professionista.

Abbiamo già ricordato che la decisione pronunciata in un giudizio in cui il professionista non sia stato parte, per quanto non faccia stato, è comunque logico presupposto per esercitare l’azione di rivalsa da parte della struttura. Una volta avviata l’azione di rivalsa, il professionista potrà sempre difendersi, ma la difesa sarà più complessa, perché egli dovrà contrastare un teorema accusatorio già ben strutturato, confortato da fatti accertati nel corso del giudizio di risarcimento del danno promosso contro la struttura sanitaria. La previsione del comma 3 è che solo la decisione pronunciata in un siffatto giudizio “non fa stato”; ciò che intendiamo esprimere è che tale previsione non si estende anche ai fatti che sono stati accertati nel corso del giudizio e che potranno quindi essere contestati al professionista come comprovanti la gravità della sua colpa.
 
Più che mai opportuno era dunque l’integrato disposto dei commi 3 e 4 della vecchia stesura dell’art. 9, perché contemplavano, rispettivamente, l’obbligo di dare comunicazione al professionista sanitario dell’instaurazione del giudizio risarcitorio e l’inammissibilità del giudizio di rivalsa in caso di omissione o di incompletezza della comunicazione. Ora, sono pienamente condivisibili le nuove disposizioni dell’art. 11bis e del comma 3 dell’art. 9, il quale non appare tuttavia, in caso di comunicazione omessa o incompleta, idoneo a garantire il professionista come faceva il precedente comma 4.

In conclusione, per il professionista sanitario è necessario essere messo in condizione di costruire da subito la propria difesa. Ciò può essere garantito solo se egli viene precocemente a conoscenza dell’instaurazione del giudizio risarcitorio nei confronti della struttura. E, nei casi in cui egli non sia convenuto in giudizio, la conoscenza può essere realizzata con lo strumento della menzionata comunicazione da parte della struttura sanitaria come previsto dall’art.11bis.

Analoga riflessione sulla necessità, per il professionista, di una precoce impostazione della difesa vale anche per la fase stragiudiziale. Sotto questo aspetto, la nuova stesura dell’art. 9 appare opinabile e, a nostro avviso, carente come lo era la precedente.
Merito dell’attuale versione dell’art. 9 è aver introdotto, nel comma 4, il tema della transazione, ovviamente extragiudiziale. La transazione, se non è opponibile in sé, costituisce comunque titolo per promuovere l’azione di rivalsa da parte della struttura sanitaria. Al professionista potranno essere in particolare contestati fatti emersi nel corso delle indagini promosse dalla struttura stessa preliminarmente alla transazione. Anche in questo caso, la struttura sanitaria potrà avere interesse a fissare, in verbalizzazioni e in documenti istituzionali, ricostruzioni di fatti idonee ad essere successivamente considerate come comprovanti la gravità della colpa del professionista.
 
È dunque evidente che gli interessi del professionista possano essere configgenti con quelli della struttura. Di conseguenza, la partecipazione alle procedure di indagine, attivate dalla struttura successivamente all’istanza di risarcimento da parte del paziente, consente al professionista di eventualmente prevenire l’azione di rivalsa. In altre parole, anche in fase stragiudiziale, va garantita al professionista sanitario la procedura della comunicazione, da parte della struttura sanitaria, della avvenuta richiesta di risarcimento stragiudiziale.
 
Nel nostro precedente articolo, avevamo proposto, per attuare la comunicazione, anche un termine cronologico– “senza indugio e comunque non oltre 20 giorni” –, desunto da alcuni riferimenti normativi in materia di sanzioni disciplinari e relativa contestazione degli addebiti agli interessati. Contestualmente, la struttura sanitaria dovrà comunque garantire procedure che permettano al professionista sanitario di partecipare da subito alle indagini medico-legali promosse dalla struttura stessa o di nominare un proprio consulente tecnico.

Riteniamo le attuali disposizioni insufficienti per garantire il diritto alla difesa del professionista sanitario rispetto ad eventuali, successive, azioni di rivalsa scaturenti da accertamenti medico-legali promossi dalla struttura sanitaria in relazione a istanze stragiudiziali di risarcimento e svolti senza la partecipazione del professionista stesso.

Nella nostra prospettiva, dovrebbe dunque essere opportunamente stabilito, nella legge che scaturirà dal d.d.l., l’obbligo della comunicazione al professionista da parte sella struttura sanitaria in caso non solo di giudizi di risarcimento in cui sia convenuta solo la struttura (come contemplato dall’art. 11bis), ma anche di richieste di risarcimento stragiudiziali. Inoltre, occorre introdurre un disposto che stabilisca che, in qualsiasi ambito, giudiziario e stragiudiziale, non solo le valutazioni conclusive (e le connesse decisioni), ma anche tutti gli accertamenti comunque svolti in assenza dei professionisti interessati o dei loro rappresentanti o consulenti non possano essere considerati prove della gravità della colpa del professionista.

Va conclusivamente ricordato che anche questo nuovo testo dell’art. 9 si astiene da una definizione di colpa grave. Di conseguenza, ribadiamo tutte le considerazioni proposte nel nostro precedente intervento in questo Quotidiano circa la vaghezza del d.d.l. sul concetto di colpa grave e la possibilità quindi di una sua ampia estensione interpretativa nella applicazione pratica, e conseguentemente di un incremento delle azioni di rivalsa da parte delle strutture sanitarie, che sono titolari dell’obbligo.

Daniele Rodriguez e Anna Aprile
Professori di Medicina legale
Università degli Studi di Padova
25 gennaio 2016
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