Il ministro della Salute, Renato Balduzzi, ha predisposto un decreto omnia (che invero non ha registrato il generale consenso dei componenti del Governo), con il quale si intenderebbe rivedere alcune discipline esistenti (es. esercizio della medicina generale, nomine manager di Asl e Ao, implementazione disciplina farmacie private, ecc.) e introdurre misure utili a modificare gli stili di vita dell’Italia “viziata”. Principalmente, quella avvezza a produrre e consumare bibite addizionate di zuccheri, che si vorrebbe sottoporre alla c.d. tassa sulle bollicine.
Sulla specifica ipotesi legislativa è appena il caso di ribadire il giudizio tecnico negativo sullo strumento individuato (originariamente promossa come imposta di scopo, poi codificata, nell’art. 11.4, come contributo straordinario) per fare gravare un ulteriore onere fiscale sui produttori di bibite gassate (7,16 euro ogni 100 lt) e di superalcolici (50 euro ogni 100 lt).
Inidoneo il ricorso all’imposta in quanto tale, così come al contributo, ordinariamente gravante a carico di chi richiede un servizio e/o un vantaggio diretto. Ove mai potrebbe essere frequentabile, nel caso di specie, l’accisa, cui la Direttiva 2003/96/CE riconosce l’idoneità a concorrere direttamente alle politiche sociali dei Paesi aderenti all’UE. Tuttavia, anche in tale senso sarebbe legittimo nutrire qualche dubbio, dal momento che l’aggravio fonderebbe il suo presupposto su una aspettativa e non già su una emergenza attuale e/o evento negativo straordinario, del tipo quelli a fronte dei quali si è abituati a sopportare ulteriori e ricorrenti accise sui carburanti.
Piuttosto che pensare alle siffatte misure economiche, apparentemente etico/pedagogiche, occorrerebbe pensare più alto e investire sul serio. L’ideale sarebbe realizzare un progetto complessivo, di ampio respiro e di sicuro risultato, che potrebbe coinvolgere le industrie interessate a co-sopportarne i costi relativi, riferibili sia alla campagna informativa che all’introduzione dell’insegnamento di educazione salutare, quale materia curricolare nella scuola. Magari rendendo detraibile dalle imposte una gran parte di quanto dalle medesime finanziato ad hoc.
Una tale opzione potrebbe determinare un percorso educativo reale anche nei confronti degli stessi produttori “incriminati”. Questi ultimi verrebbero così - sebbene “obbligati” a sopportare i costi di una campagna informativa - incentivati ad investire in quella ricerca utile a soddisfare la diversa istanza eventualmente formatasi a seguito degli esiti favorevoli dell’intervento educativo. Una iniziativa, questa, direttamente produttiva di un più interessante e consistente livello occupazionale di quello altrimenti messo in pericolo dal tributo sul consumo.
Ciò anche in coerenza con quanto quasi unanimemente sostenuto in termini di inutilità dei divieti, sino quasi a rendersi più dannosi del male da curare, intendendo tra questi le solite sovrattasse che servono poco ad educare ma solo a depredare di più gli abituali consumatori, attratti - com’è naturale che sia - dal proibito e dalle vendite proposte dal mercato parallelo e dal contrabbando, considerata anche la loro giovane età.
Peraltro, il previsto “contributo straordinario”, considerata la sua funzione preventiva di uno stato morboso, tale è da considerarsi la obesità, principalmente quella giovanile, diventerebbe molto più simile ad un anomalo ticket, di tipo reverse, nel senso che l’imposizione verrebbe economicamente sopportata da chi contribuisce ad auto-generarsi una patologia e non da chi è legittimo che pretenda la soluzione terapeutica.
Prescindendo dalle naturali critiche che una siffatta previsione attrarrebbe in tema di incostituzionalità, in quanto elusiva dell’obbligo di finanziamento dei livelli essenziali di assistenza (perché di Lea trattasi) con la fiscalità generale (art. 119 Cost.), la proposta appare anche male formulata sul piano della chiarezza.
Non si comprendono due cose. Il perché della sua previsione limitata ad un triennio e la individuazione del “tassato”, ovverosia del produttore. Forse che si voglia esonerare dall’aggravio la produzione estera, con una notevole ricaduta negativa sul piano della concorrenza, tale da incentivare il dannoso fenomeno della delocalizzazione industriale. Ci mancherebbe anche questo!
Ettore Jorio
Professore di diritto sanitario all’Università della Calabria